Carrara: La Via Francigena

Carraraonline, battagliero portale carrarese, ha pubblicagto questo breve saggio che eccolatoscana è lieta di proporre ai suoi lettori:

Alcuni anni fa mi trovavo a cena con alcuni amici in un ristorante ricavato dalla ristrutturazione di un antico casale. Il salone principale era molto bello, con il soffitto a volta costruito con mattoni pieni, disposti a lisca di pesce che formavano un disegno molto suggestivo, prima di andare a scaricarsi su massicce colonne di pietra ornate da splendidi capitelli romanici. Vedendoci così piacevolmente stupiti da tanta bellezza, il proprietario, da buon commerciante, pensò forse di impreziosire maggiormente il proprio locale, e venutoci accanto, con fare da cospiratore, ci disse” sapete….Proprio qua di fronte passava la via Francigena.” Io dovetti fare uno sforzo per trattenermi dal ridergli in faccia, non tentai neppure di replicare, sapendo benissimo che magari egli era in buona fede, e credeva veramente a quello che aveva appena detto.

Nell’immaginario collettivo, infatti, è diffusa la convinzione che la via Francigena fosse una strada medievale, perfettamente tracciata che da Canterbury in Inghilterra, attraverso l’Europa arrivasse fino a Roma, e poi giù verso i porti di Bari e Brindisi, per permettere ai pellegrini d’ imbarcarsi verso la Palestina. Niente di più sbagliato, ma prima di continuare e spiegare cosa fosse in realtà questa mitica strada, io penso sia utile capire esattamente il contesto in cui è nata, in pratica, cosa abbia generato questa strada nell’Era medievale.
L’inizio di questa Era così nefanda, è fatta risalire alla caduta dell’ultimo Imperatore Romano, Romolo Augusto, avvenuta nel 476 d.c., che determinò la dissoluzione dell’Impero Romano d’Occidente.
Quest’avvenimento aprì la porta a una serie d’invasioni barbariche provenienti dal nord dell’Europa, che si abbandonarono a una spaventosa serie di razzie e stragi, a carico di una popolazione inerme e terrorizzata, che ebbero come tragica conseguenza, l’innesco di una serie quasi ininterrotta di carestie alimentari, causate dall’abbandono dei campi per la fuga o la morte dei contadini, che debilitò ancora di più i pochi sopravvissuti, esponendoli a epidemie devastanti. Ogni forma di governo venne a decadere, e l’unica legge universalmente riconosciuta fu quella del più forte.
Quest’anarchia sociale contribuì a fare cessare quasi del tutto ogni forma di commercio, e di conseguenza, per il racchiudersi a riccio della popolazione in piccolissimi villaggi fortificati, (Curtis) la circolazione di ogni forma di esperienza culturale. Si dimenticarono processi di fabbricazione e di coltivazione, noti da secoli, nella metallurgia, in edilizia, e in agricoltura, si tornò a vivere nelle capanne in promiscuità con gli animali, troppo preziosi per lasciarli all’aperto, questa situazione perdurò, per oltre quattro secoli. Nessuno batteva più moneta per l’assenza totale di qualsiasi forma di Autorità riconosciuta, in pratica la Società del tempo arretrò quasi all’età del ferro. E’ in questa situazione che la splendida rete di strade create dai Romani, per assenza totale di manutenzione e per le ingiurie del tempo, franarono o s’impaludarono miseramente, mentre quei pochi tratti rimasti quasi intatti divennero preda dei rovi e dimenticati.
Attorno allo IIX secolo, la gente cominciò a costruire le Curtis vicino a chiese e abbazie, considerate dei punti fermi in quel marasma generale, e le uniche entità che potevano garantire una qualche sorta di protezione, in contropartita la Chiesa assunse il potere temporale, compreso quello di poter amministrare la giustizia. Anche se profondamente radicata in tutta Europa, la religione cristiana considerava fino a quel momento, il pellegrinaggio verso Roma o la Palestina, più che un atto di devozione, una forma di condanna o di espiazione, da somministrare di solito a membri del Clero stesso, rei di orrendi peccati come omicidio, o addirittura l’incesto. Questo proprio perché i viaggi a quel tempo, non erano né facili ne comodi, intrapresi di solito a piedi, e non esistendo in pratica alcuna via di comunicazione codificata, con la certezza di mettere continuamente a rischio la propria vita.
Fu il vescovo inglese Sigerico, a dare inizio a una forma di pellegrinaggio devozionale attorno all’anno mille, quando da Canterbury si recò a Roma, per ricevere da Papa Giovanni XV il ” Pallium” ossia l’investitura ufficiale di Vescovo di Inghilterra.
Durante il viaggio di ritorno in patria durato oltre due mesi, descrisse accuratamente il percorso e le settantanove tappe fatte, in un diario che diverrà un preziosissimo manuale d’istruzione per le migliaia di pellegrini che seguiranno nel corso dei secoli le sue orme.
Ora che abbiamo descritto, spero, in modo abbastanza chiaro come vivesse la gente comune nel medioevo, possiamo passare alla descrizione su basi un poco più scientifiche di cosa fosse in realtà, e come nacque, la via Francigena.

La nascita della Via Francigena

La Francigena non era altro che una direzione, un sistema di sentieri da percorrere in alternativa uno all’altro, a secondo della situazione, meteorologica, politica, o sanitaria dei territori attraversati, dove i punti fermi erano pochissimi, come passi montani, o guadi di grandi fiumi. Questa immensa ragnatela di sentieri, si è andata ampliando nel corso dei secoli, arricchendosi di punti di ristoro chiamati Ospitali, gestiti nella quasi totalità dei casi da comunità religiose, seguiti dalla fondazione di veri e propri centri di cura chiamati Spetali, che oltre a funzionare come un moderno ospedale, s’incaricavano anche di assistere gli orfani, e le vedove, dei pellegrini stessi.
Per l’uomo medievale il pellegrinaggio devozionale, era considerato l’unico modo per avere la certezza di presentarsi puri al cospetto di Dio, perciò la Società del tempo aveva elaborato una vasta gamma di simbolismi religiosi, atti a ricordare a tutti, il valore del pellegrinaggio e la sacralità dell’atto stesso.
Si cominciava con il recarsi, del futuro pellegrino, davanti al curato del villaggio che, durante una solenne cerimonia, gli consegnava una sorta di “divisa” che aveva due compiti principali:
Il primo era di offrigli una qualche forma di protezione lungo il cammino, soprattutto nei confronti dei “rubatori delle strade” come al tempo venivano chiamati i briganti.
La seconda invece era una vera e propria allegoria simbolica, dove ogni oggetto, era carico di significato.
Il cappello conico a larghe tese detto Petaso, che oltre a offrire riparo dalla pioggia o dal sole simboleggiava la protezione Divina sul suo capo, il Bordone, lungo bastone dalla punta ferrata utile per difendersi da uomini e animali ma simbolo del resistere alle tentazioni, la bisaccia che il pellegrino doveva portare sempre aperta a significare la carità, e infine il corto e rozzo mantello, la Pellegrina a simboleggiare la penitenza.
Non meno importante era il passaporto, di solito una pergamena con l’intestazione della parrocchia di partenza, che il pellegrino doveva fare timbrare a ogni chiesa o convento incontrato sul suo cammino, che oltre a testimoniare che egli era veramente in pellegrinaggio, gli assicurava vitto e alloggio gratis per massimo due giorni, negli Ospitali, o il poter usufruire dei servizi degli Spetali incontrati sul cammino.
Al tempo erano tre i cosiddetti “percorsi santi” e tutti e tre si diramavano, o erano un prolungamento della Via Francigena. Ma vediamo di esaminare a grandi linee il percorso di questa strada, ovviamente solo in territorio italiano. Il pellegrino proveniente dall’Europa valicava le alpi sul Gran San Bernardo, o sul Moncenisio, le due direttrici si riunivano nei pressi dell’attuale Pavia per attraversare il fiume Ticino sull’antico ponte Romano ancora esistente, quindi scendevano sulla riva sinistra del Po’ per attraversarlo al guado di Corte S. Andrea.
Da qui verso l’attuale Fidenza, per poi percorrere la valle del Taro, e il faticosissimo superamento dell’attuale passo della Cisa, chiamato nel medioevo Monte Bardone.
Circa dove oggi si trova Pontremoli, alcuni si dirigevano verso la Francia, per recarsi poi in Spagna, in Galizia, a Santiago di Compostela, dove la credenza popolare vuole vi sia la tomba dell’apostolo Giacomo. Quelli diretti a Roma proseguivano lungo la sponda sinistra del fiume Magra, fino alla sua foce, dove si trovava la già decadente Luni, per proseguire verso l’attuale Avenza, attraversare l’Appennino verso Lucca, poi Siena, Viterbo, Roma, per poi continuare verso i porti di Brindisi e di Bari per imbarcarsi verso la Palestina, Ma era veramente così il suo itinerario?
In verità nessuno ne ha la certezza, anche se le tappe principali sono circa quelle di un tempo, questo perché la maggior parte degli itinerari originali, o per essere più esatti quelli più battuti, sono finiti, nel corso dei secoli, sotto ferrovie, autostrade, o interi quartieri periferici di grandi città.
Nel 1994, la via Francigena è stata inserita nell’itinerario Culturale del Consiglio d’Europa, con lo scopo di salvaguardarla, e dove possibile restaurarla, per farla in parte rivivere. Nel 2001 è stata dichiarata Grande Itinerario Europeo, e il Ministero dei Beni Culturali Italiano, l’ha fatta mappare con il GPS, tenendo conto proprio delle tappe descritte da Sigerico nel suo diario. Questa decisione ha suscitato molte polemiche da parte di alcune Associazioni che si occupano della Francigena, che asserivano che il percorso va scoperto camminando, e non fatto dai Ministeri, che ha sua volta, ha risposto che questa sua scelta ha privilegiato in primo luogo la sicurezza del moderno pellegrino.
Purtroppo però questo bel progetto è rimasto in gran parte sulla carta, per la solita mancanza di fondi, mentre da parte Spagnola il “cammino di Santiago” non solo è stato restaurato e attrezzato con luoghi di sosta a basso costo per i pellegrini, ma da poco è anche stato dichiarato Patrimonio dell’Umanità. Tornando al percorso della Via Francigena, devo dire a onor del vero, che per quanto riguarda il tracciato che ci interessa, e cioè da Pontremoli, a Luni, per poi passare da Avenza, lascia perplesso anche me, per una serie di prove che sembrano dimostrare che non fosse quello percorso a quel tempo.

La prima è che il pellegrino medievale non aveva nessuna necessità ad arrivare nell’antica città di Luni, perché già dall’anno mille era stata abbandonata dal Vescovo di Luni, perché la città si stava impaludando, e questi aveva pensato bene di trasferirsi nella neonata Carrara, e precisamente a Vezzala, ovviamente con tutta la corte al seguito. La seconda è abbastanza lampante, l’unica strada di cui si hanno notizie certe della sua esistenza, era la via Aurelia, ma già allora poco frequentata perché scarsamente percorribile a causa di frequenti allagamenti, e soprattutto molto insicura per la presenza di briganti, ma soprattutto per le i frequenti incursioni di pirati turchi, che la vicinanza con il mare favoriva. Era molto più comodo per il viandante seguire da Pontremoli, l’antichissima via del sale, che seguendo la linea dei crinali giungeva fino al paese di Casa Poici (Castelpoggio), per poi scendere verso Carrara. A riprova di questa teoria si riporta l’elenco degli Spetali attivi in quelle zone in quel periodo:

Spetale dell’Anforare situato nei pressi del Santuario della Barcara, presso l’attuale Caprigliola citato in un documento di alleanza tra Lucca e Sarzana già nel 1256.
Spetale di Capria, antico nome di un affluente di sinistra del Magra, situato nei pressi dell’attuale Filattiera, citato in un documento del 1470.
Spetale S. Sisto di Monte Forca, oggi chiamato Pizzacuto situato vicino a Castelpoggio e dipendente da Vescovo di Luni già dal 1151.
Spetale di S.S. Giacomo e Cristoforo, situato nell’attuale Grazzano citato già nel 1335.

E’ invece tuttora presente la segnaletica che indica il percorso della via Francigena all’altezza dell’attuale Muraglione, proveniente dall’antica Luni in direzione di Avenza, e c’è chi addirittura ipotizza che i pellegrini si dirigessero e sostassero presso la Fortezza Castruccio Castracani. A mio avviso questo è assolutamente impossibile, perché a quel tempo la zona era un malsano acquitrino ed è impensabile poi, che una struttura militare e doganale, potesse ospitare pellegrini. Mentre il gran numero di Spetali presenti sull’antica via che da Carrara portava verso la Lunigiana e l’Emilia, lasciano supporre che fosse proprio questa, quella seguita.
A ulteriore conferma di questa teoria, proprio io ho scoperto circa un anno fa, in un archivio, una supplica autentica, datata 1618, dove il Priore della Osteria della Confraternita del S.S. Sacramento di Castelpoggio, Francesco Pucciarelli, supplicava il Principe Alberico I Cybo Malaspina, di ripristinare alla suddetta Confraternita il ricavato dell’Osteria presente nel paese.

Il nome Osteria non deve trarre in inganno, non essendo paragonabile a quelle che oggi noi conosciamo, ma dedite all’assistenza sia dei viandanti a pagamento, ma soprattutto dei pellegrini in forma gratuita.
Bisogna spiegare che il Principe era molto religioso, e aveva ordinato che davanti al S.S. Sacramento della chiesa di Castelpoggio rimanesse sempre acceso un lume a olio. Il Priore con la suddetta supplica asseriva che avendo il Principe stesso dirottato il ricavato dell’Osteria per altri scopi, non vi era denaro sufficiente per esaudire il suo desiderio.
Anche se il periodo storico non è proprio lo stesso, è lecito pensare che quest’osteria, e altre similari esistessero già in epoche precedenti, essendo documentato che il paese di Castelpoggio era già esistente nell’anno 997.
Oggi prevale nella maggior parte della gente, la voglia di riscoprire il nostro passato, questo le fa onore, ma qualcuno non esita ad approfittare dell’occasione per trarne vantaggi commerciali, per carità! Più che leciti, ma non se per farlo si debbano raccontare panzane o inesattezze. E di pochi giorni fa la mia visita a una festa pseudo – medievale, dove tra le altre comparse vi era anche quella di un improbabile pellegrino, vestito con una specie di saio, con cucita sul cappuccio all’altezza della fronte, una conchiglia con una croce rossa disegnata con un pennarello. Facendo finta di nulla gli chiesi cosa significasse, e lui tutto compito mi disse che era il simbolo del pellegrino che andava a Roma sulla Francigena, che ovviamente passava lì vicino.
Era un giovanotto simpatico, così tra il serio e il faceto, gli dissi di sentire una storiella che avevo da raccontargli. Gli raccontai che la conchiglia era il simbolo del pellegrino che tornava da Santiago di Compostela, che si trova nella Galizia Spagnola, e che non aveva nessuna croce incisa, né tantomeno disegnata, ma che quel particolare tipo di conchiglia che si trovava solo sulla parte Atlantica della Spagna, rappresentava la prova dell’avvenuto pellegrinaggio, da qui il nome del mollusco, Capasanta. I pellegrini provenienti da Gerusalemme invece, recavano una palma, mentre quelli provenienti da Roma un’immagine in terracotta o stagno della Vergine.
Molte cose restano ancora da scoprire riguardanti quest’ antica strada, a cominciare dai vari nomi con cui era chiamata dagli abitanti nei territori che attraversava, Francesca, Romea, o Francigena, nomi che avevano diversi significati per ciascuno di essi. Come resterà per sempre misterioso il numero di persone che hanno perso la vita mentre la percorrevano. Di una cosa però sono assolutamente certo, che per oltre sette secoli è stata il legante che ha unito anche se per periodi relativamente brevi, persone di tutta Europa, di varie estrazioni sociali e culturali, ma che avevano tutte in comune il raggiungimento di uno scopo. E anche oggi riveste un grande significato il saluto che si scambiavano i pellegrini quando si incontravano sulla Francigena, ULTREYA (vai avanti), e SUSTEYA (vai oltre), e proprio la loro umiltà, e la volontà di perseverare, nell’andare oltre, spesso mettendo in gioco la loro vita, hanno traghettato l’umanità fuori da quel periodo culturalmente buio e violento del medioevo, per proiettarla verso quel periodo fulgido e ricco di rinnovamento ideologico che fu il Rinascimento.


Enzo De fazio

Carrara: La Via Francigenaultima modifica: 2010-08-23T09:37:00+02:00da minobezzi1
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