Foreste Casentinesi (AR): Un racconto

Un racconto in omaggioPubblichiamo di seguito un breve racconto scritto in omaggio alla Riserva Integrale di Sasso Fratino, cuore del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, e a chi la preserva con passione e amore discreto. (fonte: ArezzoNotizie)

La foresta vetusta
di Gianni Brunacci

Scendere dal fuoristrada e sentirsi finalmente fuori strada è una sensazione piacevole e sempre nuova.
Ed è proprio così, su alla Scossa, che a metà di un settembre ebbe inizio l’avventura di Alessandro e Guido.
Calpestare le foglie di faggio, le prime cadute per l’ultimo temporale estivo, restituisce un suono familiare, qualcosa che non è ancora lo scricchiolìo delle foglie secche, ma nemmeno il morbido e pastoso schiacciarsi di una foglia fresca, viva. Si tratta di un suono inconfondibile, inebriante; non perché sublime in sé, ma per quello che annuncia: il bosco alla fine dell’estate, e all’inizio dell’autunno.
Guido avvertì subito un irrefrenabile desiderio di correre respirando quell’aria tersa e sincera, profumata di vero. Fu Alessandro a limitarne l’esuberanza e a ricordargli che si stavano entrambi inoltrando all’interno della riserva integrale di Sasso Fratino.
Accolto dai piccoli faggi contorti dal vento e dall’acero montano abbarbicato alle rocce affioranti, Guido osservava ogni dettaglio come per archiviare immagini irripetibili, affamato di colori e piccoli fruscii provocati dalla brezza di crinale. La ripida discesa verso Quota 900 fu una sequenza rara di riflessi, nebbie, fasci di luce improvvisa, alberi sempre più grandi e rocce modellate dal tempo. La voglia di fermarsi a godere della penombra odorosa doveva fare i conti con la fretta di Alessandro, voglioso di raggiungere l’obiettivo di giornata, il cuore della foresta di Sasso Fratino. 
Rapidi flash, le immagini di un tasso contorto e stentato, di abeti bianchi sempre più alti, di alberi consunti dalle intemperie e dalla decomposizione, ma la cui polpa riusciva ancora a mostrarsi bella, bella di un marrone/arancio/rosso tutto da godere. Guido avvertiva di nuovo la voglia di fermarsi e respirare forte a pieni polmoni, annusare.
Scendere ancora voleva dire andare incontro ad un mondo sempre più fiabesco, sempre più vero e incredibile, sempre più potente; di una potenza legata alla natura incontrastata, libera di esprimersi in tutte le sue manifestazioni. Vecchi alberi caduti ovunque, tronchi pronti ad arricchire il terreno e a confondersi con quello, perché nessuno li avrebbe rimossi, se non l’acqua ed il vento, prima che concludessero il loro ciclo vitale, completamente consunti, come fusi sulla terra, o nei fossi torrentizi. Chiazze di un verde abbagliante si alternavano a ombre scure, tronchi grigi, marroni o rossicci, cortecce lisce e chiazzate, o ancora a scagliette irregolari. I colori caldi della pietra, contaminati dai muschi più verdi del verde, dipinti da licheni, macchiati dall’umidità. La stessa umidità che aveva consigliato alle salamandre di abbandonare i loro rifugi fatti di sassi o tronchi morenti, per arricchire la gamma dei colori con i loro gialli e neri intensi.
Guido guardava ovunque, voltandosi a destra e a manca senza più capire, senza la capacità di concentrarsi che sarebbe occorsa. Un racconto in omaggio
Nemmeno faggi vecchi di centinaia d’anni e abeti slanciati, alti più di quaranta metri, riuscivano più a catturare la sua attenzione, inebriato com’era da tanta natura.
Fu quando Alessandro si fermò davanti ad un tronco scavato, forse da un picchio nero in cerca di insetti, che Guido ebbe quasi un minuto per apprezzare il rumore del silenzio forestale. Il silenzio melodico del bosco vetusto, quello che vive per chi lo abita, e per gli uomini.
Poco prima di raggiungere Quota 900, però, Guido avvertì il suono sfumato, fragoroso e lontano, di una cascatella che immaginò subito limpida. Si accorse, così, che quel suono andava a completare il quadro fatto di odori, colori, fruscii e naturale concretezza.
Ancora un guado sul fosso delle Macine, tra acqua limpida, sassi bagnati, salamandrine e sanguisughe; poi, fra una farfalla e un insetto sconosciuto, i due raggiunsero Quota 900, il centro della riserva; un pianoro fra alberi giganteschi, dove da qualche anno si è formata una chiaria, dopo la caduta di un paio di piante vetuste, fantastiche a terra, casa di funghi lignicoli dal colore zolfino e supporto di muschi spessi, morbidi e sfacciatamente verdi.
A Quota 900 Alessandro e Guido decisero di sostare per uno spuntino; lì, vicino al ruscello ed ai tronchi monumentali, tra un polyphorus e una salamandra maculata di giallo zolfino, tra un faggio e un abete bianco d’annata, i due gustarono lentamente la loro colazione, nel rispetto dei tempi suggeriti dal luogo. Un daino osservava la scena da dietro un faggio lontano, su per il fianco della montagna. Quota 900 è uno dei luoghi più belli del mondo, dove la natura non conosce compromessi e domina, soggioga, il raro visitatore. Guido non avrebbe potuto essere lì, ma Alessandro aveva garantito per lui e lui non poteva deluderlo, nemmeno per andare a rinfrescarsi al ruscello limpido e tranquillo del pianoro.
Fu proprio Alessandro ad avere l’idea di salire fino all’ingresso della grotta nera, un anfratto scuro e profondo sul fianco della montagna; ma poi fu Guido a vincere la paura e ad entrarvi, per fare la conoscenza stupita del geotritone e, proprio all’ingresso, di uno strano fungo amante della semi oscurità. Lungo la via del ritorno, verso Quota 900, Guido incontrò un lumacone senza casa, in cerca di funghi da mangiare. Lo osservò curioso per qualche secondo, poi fu distratto da una grossa buca raspata, a terra, nelle vicinanze. Alessandro riconobbe in quelle tracce il lavoro del tasso, che aveva scavato il terreno in cerca delle vespe terragnole, delle quali impavido si ciba.

Un racconto in omaggio
La salamandra e il fungo

Tornato che fu a Quota 900, Guido provò a sostarvi di nuovo, ma Alessandro non volle saperne; il cielo minacciava pioggia e c’era ancora da scendere a valle fino alla fonte del Maresciallo, dove il fuoristrada del Corpo Forestale li attendeva per il ritorno verso La Lama e Badia Prataglia. Scendendo nel buio della foresta fitta, i due fecero ancora in tempo a scorgere il faggio più grande della riserva, un gigante dal pedone di quasi otto metri di circonferenza, e fu lì che rinvennero, in un tronco marcescente poggiato su un fianco, un esemplare della rara Rosàlia Alpina, coleottero alpestre che si ciba di fauna microscopica delle piante deperite, un insetto dalle antenne fragili e lunghe, striate di un azzurro dolce e fragile.
L’ultima scoperta di Guido fu poi la cascatella sul fosso delle Macine, alla quale non seppe resistere, e ne bevve. Il fuoristrada era lì, a poche centinaia di metri, in attesa dei passeggeri da condurre altrove, lontano da quel posto incantato. Alla fonte del Maresciallo Alessandro si rivolse a Guido, cogliendone lo sguardo triste di chi vorrebbe restare e non può:
“Dobbiamo tornare, amico mio, tra poco farà buio e forse pioverà…”
La risposta sofferta di Guido lo interruppe:
“Bau, buuuuuuh…”

 

Post scriptum: Sasso Fratino è probabilmente la più bella foresta d’Europa; di sicuro la meglio conservata grazie ai Tarlati, proprietari del XIII e XIV secolo, e a chi è venuto dopo di loro, ma anche alla lungimiranza di chi l’ha voluta Riserva integrale cinquant’anni fa, e di chi l’ha saputa gestire nel tempo da allora, il Corpo Forestale dello Stato.

 

Foreste Casentinesi (AR): Un raccontoultima modifica: 2009-03-05T10:24:52+01:00da minobezzi1
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