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Firenze: Cristiani ed Ebrei (anche a Livorno)

 

Giulio Conticelli per Toscanaoggi 

L’incontro romano tra il Papa e gli ebrei di questa domenica 17 gennaio (Il Papa in sinagoga, nel solco di Wojtyla, ma in un’ottica più «teologica») non può non sollecitare una domanda in ogni Chiesa locale: e noi? e noi quale cammino stiamo compiendo, che sia adeguato e proporzionato alla storia di ogni nostra Chiesa locale? In Toscana varia è la situazione per la presenza effettiva di comunità ebraiche attive, più o meno numerose, ma lo è anche perché tracce profonde dell’ebraismo hanno segnato le tappe fondamentali della cultura della terra toscana, dall’età medievale al rinnovamento rinascimentale, all’Illuminismo, sino al Risorgimento e al Novecento.

In tempi a noi più vicini, un percorso significativo è stato tracciato dai maestri di esegesi biblica, dal vescovo Bartoletti a Valerio Mannucci e a don Divo Barsotti, il quale operò sin dall’inizio nella fondazione della prima Amicizia Ebraico Cristiana in Italia, proprio a Firenze, nel 1950: si è arrivati al Concilio già preparati ad accogliere il rinnovamento della Nostra Aetate. Ma ancora più in fondo, nel mistero della Chiesa, si manifestano i segni esemplari di santità cristiana, rappresentati nel Novecento dal vescovo Elia dalla Costa, dal parroco Giulio Facibeni e dal laico Giorgio La Pira, tutti legati alla risposta solidale e fraterna con la tragedia e la frattura centrale del Novecento della Shoah.

Dalla Costa organizzò la rete di protezione degli ebrei in decine e decine di case religiose per sottrarli alla deportazione; don Giulio Facibeni accolse, come figli suoi, nell’Opera della Madonnina del Grappa, i bambini ebrei nascondendoli e salvandoli; Giorgio La Pira reagì nel ’38 alle leggi razziali e si ribellò con la sua intelligenza alla dittatura, cominciando con Principi il programma laico, religiosamente fondato, di un’azione politica e civile di libertà per tutti.

La Pira non solo collaborò alla fondazione dell’Amicizia Ebraico Cristiana, ma divenuto Sindaco compì, tra i primissimi atti ufficiali, la visita alla Sinagoga di Firenze il 18 novembre 1951 per scoprire la lapide marmorea di memoria degli ebrei deportati e caduti nella guerra di Liberazione. Nel suo discorso agli ebrei fiorentini disse quanto ancora non era stato mai così chiaramente espresso: «c’è una unità divina e misteriosa che lega noi a voi, voi a noi: i due Testamenti sono un Testamento solo». A Firenze quindi tre lustri prima risuonava quello che sarebbe stato il messaggio conciliare della Nostra Aetate sulla irrevocabile vocazione di Israele.

Se la santità della Chiesa è anche storia, nella santità fiorentina la sua storia si è confrontata con la fraternità con gli ebrei nel Novecento ed è divenuta una irrevocabile solidarietà spirituale che illumina insieme il mistero della Chiesa e il mistero di Israele: e così è avvenuto anche a Livorno con la figura alta di don Roberto Angeli e con la sua testimonianza evangelica nei lager tedeschi, e così è avvenuto con i dodici certosini  uccisi nella Certosa lucchese di Farneta per aver protetto anche i fratelli ebrei, interpretando «nel tempo» la ospitalità benedettina.

I segni di questa crescita del dialogo sono lievitati nell’ultimo mezzo secolo, dopo l’incontro di Giovanni XXIII con Jules Isaac, di cui proprio a Firenze si curò la traduzione e la pubblicazione della sua opera fondamentale per il dialogo ebraico cristiano: «Gesù ed Israele».

Ogni Chiesa locale ha risposto all’appello conciliare della Nostra Aetate con nuove e diverse modalità: nella Cattedrale cattolica di Wuerzburg in Germania si accoglie chi entra con un grande candelabro ebraico, la menorah, per ricordare la Shoah; nella Cattedrale di Teruel in Spagna il Vescovo ed il Capitolo hanno trasferito le liturgie per quasi un anno nella vicina chiesa del Seminario per permettere nella Cattedrale di presentare i segni liturgici della tradizione ebraica e di quella cristiana, oltre che di quella islamica, da manoscritti delle Scritture ad oggetti per il culto secondo i diversi cicli di preghiera, per rieducare alla convivenza tra i figli di Abramo, in una terra che ha visto la loro presenza antica e che si trova oggi confrontata con le grandi sfide dell’emigrazione.

La Cattedrale di Notre-Dame di Parigi ha visto il 9 agosto 2007 le esequie del cardinale Aron Jean Marie Lustiger sul sagrato secondo il rito ebraico e, senza soluzione di continuità, le esequie cristiane celebrate da oltre cento vescovi e settecento sacerdoti, quasi un concilio regionale, per la volontà testamentaria del Cardinale, «rimasto ebreo come lo rimasero gli Apostoli» secondo la lapide apposta poi nella Cattedrale.

La Toscana si proietta con il monachesimo olivetano, a pochi chilometri da Gerusalemme, nel monastero di Sainte Marie de la Résurrection di Abu Gosh, un focolare di dialogo tra cristiani ed ebrei israeliani, quasi speculare all’altro focolare in terra toscana oramai da più di tre decenni acceso nel monastero di Camaldoli  con la vita comune di ebrei e cristiani per quasi una settimana, nei Colloqui ininterrotti che vi si svolgono ogni dicembre, affrontando un tema comune alla spiritualità ebraica e cristiana.

La domanda si ripropone: e noi? a quale focolare riscaldiamo noi la fraternità ebraico cristiana? Paolo non aveva sbagliato in Romani 11.

Livorno: Le incomprensioni? Qui non ci sono mai state

Livorno deve molto alla comunità ebraica che da sempre abita la città. Essa è parte fondante della sua storia, ed è proprio grazie alla nazione ebraica che essa ha potuto svilupparsi nel corso dei secoli: commercialmente, demograficamente, culturalmente.

Attualmente anche se gli ebrei iscritti nei registri della comunità livornese sono poco più di 600 e sono ancora meno quelli che rispettano le tradizioni e praticano il culto del sabato, rispetto ad altre comunità italiane quella livornese è ancora viva e ricca di storia ed è la seconda in Toscana dopo Firenze. La comunità dispone di un museo, di una biblioteca e di un prestigioso archivio storico con documenti risalenti al 1600. Da tempo dunque, ma in modo ancora vivo e fecondo, la convivenza tra cristiani ed ebrei a Livorno è simbolo di dialogo e collaborazione, anche quando nel resto dell’Italia e del mondo lo scontro è stato forte e la divisione profonda.

Monsignor Alberto Ablondi, vescovo emerito della città, è stato uno dei fautori dell’istituzione della giornata dedicata all’amicizia tra ebrei e cristiani che ancora oggi si celebra. «In questo 2010 più che mai, dopo i contrasti avvenuti a Roma lo scorso anno – sottolinea don Piotr Kownacki, responsabile dell’ufficio della diocesi di Livorno per l’ecumenismo e il dialogo –  le due comunità religiose livornesi hanno voluto esprimere il loro rispetto reciproco e l’amicizia che da sempre le lega, con un momento di preghiera davanti al tempio ebraico, che sorge in una delle piazze del centro, e con una conferenza a due voci sulla sacralità del giorno di festa, un tema che unisce sicuramente e mette in dialogo».

«Il dialogo è sempre utile – afferma Leone Kaim, maestro della Comunità Ebraica livornese quando gli chiediamo un parere sul valore di questa giornata – però per dialogare bisogna essere in due e le comunità ebraica e cristiana di Livorno sono e sono sempre state disponibili a questo dialogo. Spesso è accaduto che a livelli più alti si siano registrate incomprensioni e contrasti che sembravano irrisolvibili, ma a livello locale non è mai stato così  e il rispetto reciproco e la buona volontà di collaborare ha sempre prevalso».

Chiara Domenici

 

Firenze: Cristiani ed Ebrei (anche a Livorno)ultima modifica: 2010-01-14T16:03:00+01:00da
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