Firenze: Made in Tuscany, ma come?

 

Nicola Bellini per greenreport

Si è tornato a parlare in questi ultimi tempi di una politica di brand territoriale per i prodotti toscani. La valorizzazione del made in Tuscany sembra a prima vista quasi un’ovvietà, una necessità evidente, tanto da domandarsi perché sinora non lo si sia fatto se non in modo occasionale e certo non sistematico. Il fatto è che invece si tratta di un’operazione molto complessa.

Alla base di ciò sta un apparente paradosso. Il brand Toscana ha un’eccezionale visibilità: secondo uno studio realizzato dall’IRPET alcuni anni fa (ma i cui dati sono verosimilmente validi ancora oggi), marchi come “Toscana” e “Firenze” sono conosciuti da quote altissime dei consumatori di altri paesi. Qualsiasi promotore di territori vorrebbe poter partire da uno zoccolo duro di visibilità internazionale come è quello che la storia, la letteratura ed il cinema hanno costruito attorno alla nostra regione.

Questa visibilità, in cui l’arte ed il paesaggio hanno un ruolo dominante, ha tuttavia valore essenzialmente in ambito turistico e non si riflette in senso positivo sui prodotti made in Tuscany. In altre parole, non esiste per la Toscana quello che per altri paesi e regioni viene chiamato il country-of-origin effect, l’effetto di immagine che ad un prodotto deriva dalla sua associazione col territorio di provenienza. La citata indagine dell’Irpet già rilevava che quote di molto inferiori dei consumatori degli stessi paesi riconoscevano un legame tra la loro immagine della Toscana e qualche prodotto (sostanzialmente vino e olio).

Due aspetti di questo fenomeno vanno sottolineati. In primo luogo nelle percezioni dei consumatori ed anche degli operatori il made in Tuscany risulta sostanzialmente schiacciato sul made in Italy e da questo, tranne appunto che per alcuni prodotti alimentari, risulta sostanzialmente indistinguibile. Non esiste cioè una unicità toscana, ad esempio, nella moda e poco rileva sul mercato la toscanità di Gucci, Prada o Ferragamo. L’identità toscana non è percepita e quindi non è vendibile né venduta.

In secondo luogo, anche prodotti con brand importantissimi e di sicura matrice toscana non vengono percepiti e nemmeno conosciuti (talora anche in Italia!) come made in Tuscany: il caso più clamoroso è sicuramente quello della Vespa. Per altro, l’immagine della Toscana, che noi stessi in passato ed anche di recente con scarsa lungimiranza abbiamo nutrito e sostenuto (basti ricordare la “onirica” campagna promozionale “Voglio vivere così!”), sistematicamente si dimentica della dimensione industriale e tecnologica. E’ difficile che la strategia di marketing di un’impresa industriale moderna vi trovi una sponda. Vi sono in letteratura molti casi di imprese che rifiutano l’associazione con territori la cui immagine non è in sintonia con i propri prodotti: Zara nasconde di essere spagnola, il che non la qualificherebbe nel mondo della moda; Lenovo non ricorda mai ai suoi clienti, interessati alla tradizione dei personal computer IBM, di essere impresa della Cina (il paese che è comunemente associato a bassi costi e bassa qualità); etc. Perché un produttore di motociclette, di apparecchi biomedicali, di vaccini, di macchinari o di strumentazioni elettroniche dovrebbe mai esplicitare il fatto di essere toscano?

Una politica di valorizzazione del made in Tuscany dovrebbe pertanto lavorare innanzi tutto su questi due aspetti. Innanzi tutto sarebbe utile (come è avvenuto in casi esemplari, dal Piemonte alla Corea) lo sviluppo di un’azione di marketing che, sfatando alcuni miti (e stereotipi), “riveli” l’origine toscana di prodotti, imprese e  tecnologie. Ma soprattutto bisogna provare a comunicare un’immagine meno onirica della nostra regione e ad elaborare elementi identitari toscani che permettano di distinguere i nostri prodotti dagli stereotipi consolidati del made in Italy. Quali? Quelli attinenti alla bellezza ed alla qualità, ma non disgiunti dalla tecnologia. Anzi la sfida dovrebbe essere quella di ricostruire nell’immaginario collettivo (ed anche in quello dei toscani!)  proprio il legame storico tra il grande patrimonio artistico e naturale della Toscana e la sua capacità di produrre e di innovare e, oggi, di produrre e innovare nel segno delle nuove tecnologie e della compatibilità ambientale: un brand industriale della Toscana come brand di un’economia verde.

Una nota finale: il made in Tuscany non diventi però un’ossessione. Innanzi tutto, la logica del made in si porta dietro spesso una sorta di arrogante autoreferenzialità, che presume non solo l’ovvia riconoscibilità della qualità dei nostri prodotti, ma anche che essi debbano essere accettati nella loro “autenticità”, senza adattamenti. Specie sui grandi mercati emergenti, di cui si favoleggia spesso a sproposito, il made in ha senso se riesce ad essere anche made for, ossia se si ha la capacità di declinare il prodotto, talora anche solo in termini di comunicazione, ma più spesso nei suoi stessi contenuti, in modo da dialogare con i consumatori lontani.

Nell’economia globale, poi, accanto al tradizionale made in, c’è (e conterà di più) il made with. La Toscana non può essere solo un luogo di prodotti “a denominazione d’origine”, ma deve costituire anche un nodo di conoscenze e tecnologie che nella produzione si sviluppano in catene del valore globali: prodotti pensati qui e realizzati altrove o, sempre più spesso, pensati assieme ad altri paesi ed altre culture, quindi made with Tuscany.

Firenze: Made in Tuscany, ma come?ultima modifica: 2010-07-05T18:05:29+02:00da minobezzi1
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