Buti (PI): Jean-Marie Straub

Il procedimento creativo di Jean Marie Straub, la sua inconfondibile cifra stilistica, sono ormai un brano della tradizione cinematografica internazionale. Il passaggio che dallo spettacolo teatrale conduce alla versione cinematografica del medesimo, è un elemento di particolare distinzione, una modalità che definisce da molti anni ormai il lavoro del regista francese.

Gli autori fino ad oggi frequentati da Straub sono tutti di estrazione moderna, constraddistinti da una volontà di scardinamento rispetto alle strutture classiche e da un sostrato di innovazione che riguarda prima di tutto “il pensiero” e dunque il lavoro della scrittura. Kafka, Mallarmé, Pavese, Vittorini, Fortini, Hölderlin, Brecht, autori che attraverso la parola hanno espresso il loro atto di “resistenza” alle ideologie dominanti, alle imposizioni sociali e a quelle politico-culturali.

Indimenticabile “Rapporti di classe” tratto da “America” di Franz Kafka, momento esemplare dell’arte cinematografica di Straub e della sua visione della parola come soggetto cinematografico. Ma ancor più il recente “Il ginocchio di Artemide” tratto dal dialogo “La Belva” di Cesare Pavese, dove l’atto di parola mitico viene congiunto in maniera sostanziale a un territorio, a un popolo, e così, secondo un riflesso d’appartenenza, alla condizione universale che riguarda l’uomo in quanto tale.Da ieri, tuttavia, una novità “spartiacque” si è affacciata nella produzione artistica di Jean Marie Straub.

E’ andato in scena al Teatro “Francesco di Bartolo” di Buti “Dante o somma luce”, nuovo spettacolo teatrale tratto dal “Paradiso”, dal quale nascerà, appunto, una versione cinematografica. La messa in scena riguarda il trentatreesimo canto del Sommo Poeta, recitato in scena da un solo attore, Giorgio Passerone.

Cosa ha condotto Straub a scegliere un autore così cronologicamente lontano dagli autori prediletti che finora avevano trovato una collocazione nel suo cinema? Forse la risposta è nella visione stessa espressa da Straub, anche sella sua unione artistica con la moglie Danielle Huillet, nei confronti dello strumento cinematografico: espressione di assoluta lilbertà e di coscienza, comprensione profonda del mondo e quindi del testo che, in una misura irriducibile, lo contiene.

La forza originaria espressa dagli autori prediletti da Straub arriva a trascendere il testo stesso per impossessarsi dell’osservatore, per rompere la patina di superficialità che tutto investe di sé e “darsi” a un senso universale, anche quando sono gli operai di VIttorini a parlare, o gli dei di Pavese. La parola, la sua collocazione specifica in un preciso spazio e in un preciso tempo, esprime una vita “altra, diventa “sguardo dell’altra parte”.

E quale alterità può esprimere al meglio questa visione, se non la visione paradisiaca di Dante, se non lo spazio assoluto di un mondo oltre il mondo, dove la parola stessa diventa assoluta, espressione universale di senso? A contantto con la divinità, con la visione di essa, la dimensione mitica della parola si esprime al suo massimo – umano – livello.

Aspettando, dunque, la versione cinematografica del trentatreesimo canto del “Paradiso” di Dante Alighieri, regia di Jean Marie Straub.

pisanotizie

 

Buti (PI): Jean-Marie Straubultima modifica: 2009-09-17T10:24:18+02:00da minobezzi1
Reposta per primo quest’articolo