Carrara: Beghe marmifere

 
I dati sulla crescita esportazioni di blocchi (+12% nei primi nove mesi del 2009) hanno innescato una serie di prese di posizioni da parte di associazioni e organizzazioni sindacali. L’aumento delle esportazioni di blocchi viene contrapposto alle difficoltà dei laboratori che hanno ridotto in modo consistente produzione e occupazione. Il nesso tra le due cose, tuttavia, non è del tutto lineare; la riduzione degli occupati nei laboratori, infatti, dipende più dalla crisi dei graniti che dalla contrazione delle quantità di “marmi lavorati”: nel 2008  ne sono state esportate 330.000 tonnellate, rispetto ad una media di 310.00 nei sette anni precedenti.
Nel 2009, su una produzione totale di 1.200.000 tonnellate di marmo,  il distretto ha esportato “blocchi e lastre” per 650.000 tonnellate; se depuriamo il dato delle 100.000 tonnellate di lastre, i blocchi esportati (voce che comprende anche “gli informi”) oscillano tra il 45 e il 50% della produzione locale. Probabilmente l’effettiva  propensione ad esportare i blocchi è sopravvalutata ma il problema dello svuotamento della filiera resta e deve trovare risposte senza cadere in banalizzazioni come quelle dei monopoli sui quali hanno già fornito dati puntuali gli amministratori delle cooperative e della Marmi Carrara. L’Associazione Industriali concorda che occorre compattare la filiera, valorizzare i marmi, investire in formazione e sicurezza, aggregare le imprese, ecc. L’unica cosa di cui non abbiamo bisogno, tuttavia, è pensare che poche semplici  ricette possano risolvere problemi complessi come quelli che si sono formati non negli ultimi mesi, ma in interi decenni di vuoto di politiche per le aree industriali, le strutture consortili, la promozione e la ricerca.
In effetti le reiterate prese di posizioni sui problemi del settore marmo sono costellate da molti paradossi. Per esempio, si punta l’indice contro il “distretto”  ma si rimuove un dato macroscopico: se il distretto non funzione la colpa non è della Regione ma di “tutto” il territorio che non è stato capace di riconoscersi in uno strumento di indirizzo agile e professionale per una politica di settore. 
Un altro spunto di riflessione è stato messo in campo dalla CGIL che propone, opportunamente, una revisione della tassazione dei marmi per renderla omogenea a livello di distretto (oggi i singoli comuni tassano in modo molto diverso sia i blocchi di marmi pregiati che le scaglie e creano una distorsione nella competizione tra le imprese) ma non dice niente sui contratti provinciali di lavoro che continuano a contenere istituti molto diversi tra Lucca e Massa e Carrara.
La contraddizione più stridente, tuttavia, riguarda il marchio: per anni si è denunciata la mancanza di un marchio capace di contraddistinguere i “prestigiosi” materiali locali; dopo una lunga discussione propiziata dalla Cciaa, che ha messo a disposizione esperti nella materia, un gruppo di imprese ha deciso di costituire un Consorzio che proprio in questi giorni sta registrando il marchio. Si tratta di un progetto aperto, immaginato per conciliare gli interessi di tutti gli operatori della filiera (cave, laboratori di marmo, laboratori di materiali importati) che invece di raccogliere adesioni o contributi progettuali, cozza contro un muro di pregiudizi e di chiusure mentali. Qualcuno si rimbocca le maniche per realizzare il tanto invocato marchio, e  invece di costruire insieme un percorso,  fioccano le critiche e i distinguo.
Tutto lascia pensare che in fatto di politiche per il marmo e sulle cose da fare ci sono ancora poche idee, ma confuse!

 fonte: Associazione Industriali Massa e Carrara, ripresa da ottopassi

 

Carrara: Beghe marmifereultima modifica: 2010-02-03T18:46:35+01:00da minobezzi1
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