Seravezza (LU): Sabarì

a cura di Giacomo Bazzani

Un incontro per raccontare i confini che attraversano l’Europa contemporanea. Partendo dall’esperienze dei Rom in Serbia, Francia ed Italia, con opere video e performance, gli artisti presentati descrivono le vecchie e nuove frontiere che separano l’Europa.

“Zabari” e il modo piu popolare con cui gli italiani vengono chiamati nei paesi della ex-Yugoslavia. “Zaba” infatti, in serbo-croato significa “rana” e, nell’immaginario comune, l’italiano e colui che abitualmente mangia le rane. Realta e finzione si uniscono nello stereotipo in maniera apparentemente perfetta. Una finzione che diventa realmente efficace solo nell’esperienza di chi poi, di questo buffo pregiudizio, e vittima.

Nell’opera video Vicentin (2’30”, 2009) di Leone Contini, un immigrato dalla ex-Yugoslavia a Vicenza racconta, con accento veneto, del suo disprezzo per rom e kosovari. Lo fa di fronte ad un casa in costruzione che poi, ci dira mostrando le sue mani possenti e segnate, e il frutto di trenta anni di duro lavoro in Italia. Il paradosso e che lui per primo, in quanto immigrato, e potenziale vittima di analoghi pregiudizi.

La percezione infatti, nelle sue forme ed il suo modus operandi, e l’oggetto delle opere selezionate per la rassegna che vedra presentate, tra le altre, le opere di Leone Contini e di Unlab. Non la percezione in senso lato, nella sua analisi teorica, ma le situazioni in cui questa prende le forme di una demarcazione sociale; una linea di confine che separa persone e territori attraverso un racconto che pretende di essere esclusivo ed escludente. Le pratiche artistiche contemporanee vivono la necessita di legittimare il proprio ruolo instaurando un proprio originale punto di vista: instaurando cioe un nuovo ordine del discorso. Le pratiche presentate in Zabari! cercano di farlo scegliendo come luogo di osservazione particolare le linee di separazione che attraversano l’Europa contemporanea, tra nord e sud, nativi e migranti, Rom e non-Rom.

Con un approccio non documentaristico ma narrativo e performativo, gli artisti collocano il proprio lavoro al margine tra l’azione diretta ed il racconto, riuscendo a creare un nuovo orizzonte percettivo di fenomeni complessi e poco conosciuti.

Nell’opera Un tetto sulla testa (4’30”, 2008) di Contini, Sukri, un Rom espulso dal Kossovo e rifugiato a Pozarevac, in Serbia, descrive la tecnica costruttiva con cui sta realizzando la nuova casa in terra, paglia e legno, che permettera alla sua famiglia di abbandonare la baracca adiacente. Nell’opera, il racconto personale diventa un modello costruttivo economico e autoprodotto, riutilizzabile in altri contesti. Un paradosso dell’idea stessa di “sostenibilita” o l’avvento di una nuova imprenditoria Rom?

Palazzo Mediceo
Scuderie Granducali, Seravezza, Lucca
ingresso libero

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Seravezza (LU): Sabarìultima modifica: 2010-05-28T08:42:09+02:00da minobezzi1
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