Massarosa (LU): Anche qui c’erano le risaie

Il riso è una pianta che ama l’acqua e richiede un clima caldo ed umido e per questi motivi si è sempre ben adattata ai territori del Comune di Massarosa; di fatto la risicoltura ha avuto per secoli una fondamentale importanza economica e sociale per le popolazioni delle zone limitrofe al lago di Massaciuccoli. Un ringraziamento particolare va a Simona Lippi e all’Oasi di Massaciuccoli per la riscoperta di questa parte della storia Toscana

Silvana Mangano
Il riso è il cereale più consumato al mondo. È una pianta erbacea, alta 60-70 cm, appartenente alla famiglia delle Graminacee, di origini asiatiche: i cinesi la coltivavano a scopo alimentare già nel VI millennio a.C., nella Cina orientale.

Le prime testimonianze della coltivazione del riso nelle aree palustri del massarosese risalgono al 1611; ciononostante, è presumibile che la sua introduzione sia avvenuta in un epoca ben più antica. Nei documenti seicenteschi del Consiglio Generale della Repubblica si richiede la soppressione delle risaie, ritenute erroneamente una delle cause della malaria che già da secoli decimava gli abitanti di Stiava, Pieve a Elici, Massarosa, Quiesa e Bozzano; infatti fino alla seconda metà del XIX secolo il motivo reale dei decessi per malaria era sconosciuto e veniva attribuito al rimescolamento delle acque dolci con quelle salate e al sollevamento delle zolle nei terreni adibiti alla risicoltura.

Così nel XVII secolo venne di fatto proibita la coltivazione del cereale e per quasi due secoli scomparvero quelle che al tempo erano le uniche risaie di tutta l’attuale regione Toscana. Solamente nel 1839 il conte Giovanni Massei pensò di revocare la legge e già nel 1846 il conte Minutoli fece costruire una brilla (edificio adibito alla brillatura del riso) nella località detta “Molinaccio” servendosi delle acque del Rio di Quiesa, a seguito di una produzione di «cinquemila sacche di riso di ottima qualità ». Nonostante tutto le ostilità contro il riso non cessarono mai tant’è che nei documenti della commissione sanitaria del 1881 è scritto:

« Infatti per ridurre il terreno e farlo suscettivo di ricevere la coltivazione del riso il sistema che da noi si adopera è quello delle vangature… come conseguenza di questo rivolgimento la cuora fangosa che giaceva negli strati sottoposti viene portata a superficie; e se prima era inoffensiva non lo è più certamente dopo… non tardano a suscitarvisi quelle chimiche decomposizioni, dalle quali poi si svolgono i principi costituenti la malaria »

Massarosa
Ciononostante, la coltura del riso vide il suo maggiore sviluppo tra il 1880 e il 1916; dopodichè, in seguito alle Guerre Mondiali, l’attività di risicoltura diminuì fino a scomparire del tutto negli anni sessanta del secolo scorso. Agli inizi del XX secolo molti erano i contadini impegnati nella coltivazione del cereale ed uno dei compiti più ardui era svolto dalle donne: la mondatura. Il riso veniva seminato a primavera, tra aprile e maggio. Prima della semina andava eseguita la vangatura a mano all’interno dei quadri, cioè gli appezzamenti di terreno paludoso in cui veniva coltivato il riso, seguita dalla “smottatura” delle zolle con la zappa.

Sistemati poi gli argini con la giusta pendenza, si passava alla “erpicatura” per sminuzzare il terreno. Infine si “gottava”, termine popolare per descrivere il processo durante il quale l’acqua veniva immessa nei quadri tramite una ruota idraulica, macchinario simile ad una ruota a palette da mulino. A questo punto il terreno era pronto per la semina che veniva eseguita con il metodo “a spaglio”, dopodichè venivano fatte confluire acque superficiali, il terreno veniva livellato ed il seme, una volta depositato sul fondale, veniva ricoperto da uno strato di torba. Dopo la mondatura la risaia veniva prosciugata per essere nuovamente concimata.

La risaia era lasciata a riposo fino a giugno, tempo in cui avveniva la mondatura, cioè l’estirpazione delle erbe infestanti che potevano nuocere al raccolto. Sentiamo dalle parole di Liana, una mondina oggi novantenne, in cosa consisteva questo lavoro:

“ Eh! … Era un lavoraccio! perchè c’era d’andà nell’acqua fino alla pancia… co’ pantaloni strinti fino in fondo, perchè sennò c’entravin le bestie…..spesso quelle che puppin il sangue, ma ci potevino entrà anco i bisci! Erimo tantissime, le donne venivin da tutte le parti, da Bozzano, da Massarosa, da Stiava, da Bargecchia, da Corsanico e si lavorava dalle otto la mattina fin verso le sei, delle volte anche di più, ci si fermava un’ora per mangià e basta”

Lago di Massaciuccoli
Verso la fine di agosto iniziava la raccolta che poteva protrarsi fino alla metà di ottobre. Si mieteva con la falce e il riso ottenuto era portato a seccare nelle aie ed infine lavorato nelle brille. Nel massarosese se ne contavano due, entrambe a Quiesa: la più antica, fatta erigere dal conte Minutoli con sistemi più rudimentali, cessò di lavorare nella prima metà del ‘900; l’altra fu modernizzata negli anni ‘50 e continuò a produrre fino alla cessazione della risicoltura in questi territori.

Nella carta del 1768 rappresentata in figura si vedono i cosiddetti “quadri” cioè le aree dedicate alla coltivazione del riso. Come si può osservare queste erano concentrate soprattutto nella zona di Quiesa nell’attuale bonifica, nella zona di Massarosa tra il fosso della Cava ed il fosso Pantaneto, quindi nell’attuale padule di Massarosa a Est del Ferro di Cavallo (l’area è tutt’oggi denominata “le risaie”) e più a nord nella zona di Porto Vecchio. Aree più piccole si trovavano a Montramito e ai piedi del Monte Cocco.

Le aree dedite alla coltura del riso si ridussero con gli anni sia a causa della bonifica idraulica che dello sviluppo del settore industriale, che richiamò molti operai dai campi. In contemporanea, negli anni ‘50 iniziò la coltivazione del biodolo (nome locale che indica la Typha) che, essendo una pianta palustre e non bisognosa di cure, fu preferita alla risicoltura che invece richiedeva molto lavoro. Con lo stelo e la foglia del biodolo venivano costruite stuoie, erano rivestiti fiaschi e impagliate sedie. Al giorno d’oggi una delle ultime risaie di Massarosa è occupata da una coltivazione di fiori di loto.

Ebbe così fine la travagliata storia della coltivazione di questo cereale che, protrattasi per quasi seicento anni tra proteste e consensi, portò ad un prodotto che divenne famoso in tutta Italia e conosciuto come “Riso di Massarosa”. Si trattava senza dubbio di un tipo di agricoltura che utilizzava la risorsa ambientale in maniera sostenibile, a differenza delle monocolture di mais che occupano oggi gran parte delle aree che erano utilizzate per la coltivazione del riso prima della bonifica.

Bibliografia :
P. Dinelli, Massarosa dalle origini ai giorni nostri, Vallecchi Editore, Firenze 1955
Risposte della Commissione Sanitaria. Risaie presso Viareggio. All’onorevole Deputazione Provinciale. 1881
G. Lera, Da Massagrausi a Massarosa, la storia. Del Bucchia Editore, 1998
L. Pedreschi, Il lago di Massaciuccoli e il suo territorio, Roma 1956
Oasi LIPU, Notiziario del Lago, V – I del 4 Aprile 2006
Riso di Massarosa: risaie e mondine di Toscana

Massarosa (LU): Anche qui c’erano le risaieultima modifica: 2010-06-10T21:23:16+02:00da minobezzi1
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