Forno di Massa: Rolando e Marco Alberti

Augusto Stefanini per Toscanaoggi

L’opinione comune che noi apuani siamo persone grezze, spigolose, dure, di  scarsa sensibilità, appena squadrate come i marmi un tempo «cavati» dalle nostre montagne con la violenza delle mine. Ma a ogni regola c’è un’eccezione. L’eccezione, in questo caso, è rappresentata dai fratelli Rolando e Marco Alberti di Forno, popoloso paese incassato nel cuore delle Alpi Apuane.

La mia conoscenza con Rolando Alberti risale al luglio 2008. Avevo risalito la ripida via di lizza del canale degli Alberghi e avevo raggiunto gli Alberghi (circa 1000 metri). Nessuna illusione: si tratta di una antica costruzione in pietra, addossata al ripido fianco dello spigolo sud del Monte Contrario (m. 1789). «Gli Alberghi» è una casa deputata a ospitare un tempo, fino alla fine degli anni ’50 dello scorso secolo i cavatori che si rompevano la schiena nell’immane lavoro in cava dalla montagna che qui ha pendenze vertiginose. Dunque agli Alberghi mi imbatto in un giovane uomo, capelli folti, ricciuti, chiari, naso affilato su cui poggiano sottili occhiali da vista, occhi luminosi.

Ci presentiamo e cominciamo a parlare. «Già, Alberti è un cognome diffuso a Forno», dico io. «Di origine fiorentina sono, gli Alberti. Intorno al 1500 la nobile famiglia Alberti subì una sconfitta, anche politica, a opera di un’altra importante casata, e si insediò a Forno che per la ricchezza delle acque era congeniale all’impianto di una prima industria tessile locale. A Forno già si lavorava il feltro». Fin dalle prime battute mi rendo conto che Rolando è persona colta, dotata di un bell’eloquio e risponde preciso e puntuale alla mia curiosità in ottimo italiano intervallato da parole dialettali che rafforzano l’espressione. «Io faccio il pastore; ho circa 120 capre di una razza autoctona delle Alpi Apuane. Capre e pecore di razza massese le trovi dalla Liguria di levante ai pascoli della Maremma toscana. Eccole là, sparse nel paleo sotto Case Carpano, pascolano libere. Ma la notte riparano qui; le mungo sera e mattina; è una operazione che richiede tempo e fatica. Poi provvedo subito a fare qualche forma di formaggio; 15-16 chili al giorno in giugno, primi luglio; poi la produzione scende a una decina di chili. Mi trattengo al monte da metà giugno a metà settembre, normalmente. Nella stagione fredda il gregge lo riparo nella zona di Renara. Ora, un paio di volte alla settimana porto il formaggio in paese, a Forno; i miei genitori, che abitano di là dal fiume, al ponte dell’Indugio, provvedono alla stagionatura. È un prodotto di nicchia, il mio. È molto apprezzato perché ci senti il profumo dei pascoli».

Rolando, forse, è l’ultimo pastore stanziale di questa zona delle Apuane. Rievochiamo i decenni passati, quando queste montagne erano frequentate sia nel versante marino verso Massa che in quello interno verso la Garfagnana da grosse greggi e veniva ancora praticata la transumanza. «È un lavoro impegnativo che non ti riconosce ferie, ma ti dà tante soddisfazioni», dice. Che non guarda l’orologio; i suoi tempi, i suoi ritmi sono dettati dal gregge. Io devo fare i conti col tempo. Lo saluto ripromettendogli una visita.

Agli Alberghi torno in una mattina di luglio 2009. Stranamente non sento belare di capre, né latrare di cani.  Non riesco a darmi spiegazione. Un veloce giro di ricognizione e torno a valle. Al Biforco mi imbatto in Rolando alla testa del suo gregge. «Sono in ritardo di qualche settimana, quest’anno. Le capre le ho tenute più a lungo a Renara. Ora le porto su, al fresco». Mi dice che da poco ha perso la madre e mi parla di suo fratello Marco, scultore. Marco lo trovo al lavoro, nel suo studio ricavato in una vecchia, fatiscente struttura in muratura in località Serroni; un paio di chilometri scarsi oltre Forno. Mi accoglie molto volentieri: ha un aspetto da artista, capelli neri, ricci, lunghi fin sulle spalle, barba, occhi grandi e attenti, sguardo vispo; parla e racconta la sua arte. «Ho cominciato a dipingere in gioventù, di getto, senza frequentare scuole, ho dedicato tempo alla poesia, come del resto ha fatto anche Rolando; ma ho anche posto mano alla scultura. Questo è il mio studio e la mia galleria. Le mie opere sono esposte qui». E ce le mostra con malcelato orgoglio. «Questo è il ritratto di mio babbo, Adelmo». Si tratta di un bel quadro che ritrae un uomo attempato, ma non vecchio, seduto al tavolo di cucina. Già, la cucina della casa deve essere l’ambiente prediletto dei fratelli Alberti. Poi molte sculture, alcune in purissimo marmo bianco, cristallino. «Il marmo, la pietra che lavoro, lo recupero nei canali, nei ravaneti; si tratta di informi che ai più appaiono insignificanti; a me dicono molto. Vedi questo che sto lavorando ora, e mi indica un corpo nudo di un bambino al quale una tartaruga sta trattenendo il lembo di un indumento e che rappresenta la vita che prorompe e si avvia alla pubertà e il richiamo alla calma, alla lentezza del progredire, era un blocco giù nel canale; si è prestato benissimo per essere ripulito del sovrappiù per lasciare spazio a queste figure; è tutto un pezzo, non ci sono separazioni tra l’una e l’altra figura che lo compongono». Lavora di mazzuolo, scalpello, subbia, l’Alberti, come usavano un tempo i grandi artisti. Molti strumenti di lavoro li costruisce e li forgia in proprio utilizzando le gelide acque del Canal Regollo che ai Serroni confluisce nel Canal Secco.

Per quel che mi risulta ha partecipato a poche esposizioni. So per certo che lo scorso ottobre ha esposto sue sculture a Pontedera in occasione di una Mostra di Arte Varia, dove ha esposto quadri anche Alessandra Ferrandu, fidanzata di Marco. Alessandra è una bella ragazza, occhi celesti, sorriso dolce, dall’aspetto piacevole, garbata; laurea in pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Carrara, è ora insegnante di Scuola Media a Seravezza.

Poi è venuto il 15 novembre 2009. Un incendio ha reso inagibile la vecchia casa, oltre il fiume. Non si sono persi d’animo gli Alberti, né si sono fatti troppo intimidire dai rigori dell’inverno. Un giorno per telefono Marco mi disse «Abbiamo trovato un riparo per il babbo; io congelo quassù, allo studio; ma il bosco è generoso; trovo legna con facilità; continuo a lavorare. Con l’aiuto dei paesani abbiamo organizzato attività volte al reperimento di fondi che ci consentano di porre mano al recupero del tetto per rendere nuovamente agibile la casa; sentiamo la mancanza della cucina, il luogo dove riunirci, discutere, progettare, vivere insieme. Anche il Comune di Massa ci dà una mano. Io ho messo a disposizione una mia opera, “L’Uomo della Piazza”, prevedendo già di posizionarla al Ponte dell’Indugio, all’ingresso del paese; sarà pagata con i soldi che ricaviamo da iniziative varie e anche da libere offerte pervenute all’associazione “Il Linchetto” che è capofila di numerose altre associazioni che ci sostengono. La scultura rappresenta un uomo normale; per il volto mi sono ispirato a un paesano, per il corpo a un altro, di soprannome Inverno per via degli indumenti che portava uno sull’altro e che qui sono scolpiti».

Gente di paese, appunto, gente della piazza, gente che ancora popola Forno e gli altri paesi delle nostre montagne, gente che ha trascorso una vita a lottare per cavare, lizzare, segare, lavorare marmo oppure dietro un gregge da mattina a sera. Attività interrotte, forse, solamente dalla guerra che da queste parti ha picchiato sodo. Ma questa è un’altra storia.

E per il futuro c’è l’idea di realizzare un bivacco agli alberghi

Con Rolando Alberti si può parlare di qualunque argomento. Profondo conoscitore delle Alpi Apuane, ne sottolinea le peculiarità e, da come ne parla, potrebbe essere un ottimo accompagnatore di escursionisti. Ma è in grado di fare anche «accoglienza» a chi si avvicina alle sue/nostre montagne. È così che si accenna a un diverso utilizzo degli Alberghi. «Chissà, un domani con l’aiuto del Comune, del Cai e di altri potremmo farne un bivacco. È in posizione strategica. Da quando è stata realizzata la ferrata del Contrario, da quando l’attività estrattiva dallo stesso monte è cessata, gli escursionisti e gli scalatori hanno ripreso a frequentare questa porzione delle Apuane. Molti sono i salitori della ferrata che inizia oltre gli Alberghi e scendono nel versante garfagnino di Orto di Donna; molti sono anche coloro che vanno a scalare la Punta Carina o fanno la cresta del Monte Cavallo, piuttosto che spingersi a Punta Quèsta o al Torrione Figari sul Grondilice. Il fatto è che attaccare una di queste salite, tecniche e impegnative, dopo essere arrivati fin quassù a piedi ovviamente, è abbastanza impegnativo. Potendo contare invece su una struttura dove passare la notte e affrontare l’escursione essendo già in quota, sarebbe una gran bella cosa. Io, da parte mia, potrei dare ospitalità e anche propormi come accompagnatore di escursione». Hanno le idee abbastanza chiare i fratelli Alberti, tutte volte a restare tra i monti; hanno forte il senso dell’appartenenza al territorio.

Da parte sua, Marco accenna a un progetto che vuol essere un riconoscimento verso tutti coloro che nei secoli hanno avuto a che fare con il marmo. Accarezza l’idea di realizzare una grande scultura che rappresenti, appunto, il lavoro del marmo nelle sue varie fasi, dall’escavazione al trasporto, dalla lavorazione, all’utilizzo. «Opera che mi piacerebbe vedere posizionata dove l’uomo viveva e lavorava, magari lungo una via di lizza, in prossimità del paese». Forno? Resceto? La scelta potrebbe cadere su quest’ultimo, attraversato dalla più classica delle vie, la storica Via Vandelli.

«Qualcuno che rispetti le radici, che porti avanti le tradizioni, che interpreti le vecchie professioni, ma che sia aperto anche a nuove forme di attività, ci vuole», dicono concordi i due fratelli Alberti. Come dar loro torto?

Forno di Massa: Rolando e Marco Albertiultima modifica: 2010-06-18T14:38:56+02:00da minobezzi1
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