Carrara; Dalle Apuane ai dentifrici

La cava al passo della Focolaccia

Brunella Menchini per loschermo

Le Alpi Apuane vittime dell’estrazione del marmo. Un territorio a rischio di distruzione che cela al suo interno un tesoro, ben più importante delle pietre di cui sono fatte: l’acqua. E proprio l’acqua viene violentata quotidianamente. Tecnologie devastanti sono arrivate nella nostra terra e l’hanno trasformata in un deserto.

Elia Pegollo, ambientalista, ecologista, fondatore dell’associazione centro culturale La Pietra Vivente – costituitasi spontaneamente nel 1990 grazie ad un gruppo di cittadini massesi uniti dalla passione per la montagna – ci parla di queste montagne, di come erano e di cosa rischiano di diventare.

“Dovremmo imparare a comportarci da custodi della terra e non da spietati padroni, come invece stiamo facendo – dichiara – nella nostra terra muoiono prima i luoghi che non i ricordi”

Quante sono le cave attualmente attive?

“Le cave sono 102, in mano a poche persone. Gli operai sono circa 998. Negli anni ’50, si parlava di 16mila cavatori, un esercito.
Secondo un gruppo di Carrara, il volume di affari è di circa1miliardo e 500milioni di euro, ma quello effettivamente dichiarato è solo di 10milioni di euro. Questo gruppo non è mai stato smentito da alcuno”.

Quanto è cambiato l’impatto che ha la lavorazione del marmo sull’ambiente, rispetto al passato?

“Quello che è successo negli ultimi 40 anni non ha paragone con ciò che è avvenuto nei 2000 anni precedenti. Dal 1970 si è incrementata la meccanizzazione e di conseguenza è aumentato l’uso di oli e idrocarburi.
La prima notizia di estrazione del marmo nel nostro territorio, è del
122 a.C. ma fino ad oggi l’ambiente non ne aveva mai risentito così”.

All’uso delle macchine è ascrivibile anche l’impennata della produttività per addetto registratasi nelle cave nell’ultimo quindicennio (dalle 315 tonnellate annue per addetto del 1975 alle 1.091 del 1989), a fronte di una riduzione del 40 per cento dell’occupazione.

Cosa si estrae dalle cave?

“Dalle cave si estraggono soprattutto scaglie, perché sono collegabili alla concessione. Per avere la concessione, infatti, basta dimostrare che il 20% della montagna distrutta e portata via è ‘blocco di marmo’, di conseguenza l’80% è rifiuto, le scaglie appunto. Il problema è che attualmente si produce molto di meno del 20% di blocco, lo dice anche Legambiente, e queste cose non vengono palesate alla collettività, anzi, i sindaci dicono che le concessioni vengono date con questo stretto vincolo. In alcune cave inoltre, si producono direttamente le scaglie, con le benne, e questo è illegale. Ma ci sono anche degli escamotage per farlo: ad esempio, ipotizzare un pericolo di crollo, ed attuare di conseguenza un’esplosione controllata. Questo è quanto succede continuamente”.

Perché l’interesse si è spostato dai blocchi alle scaglie?

“Dalle scaglie, si ottiene il carbonato di calcio che trova tutta una serie di applicazioni industriali particolarmente vantaggiose sotto il profilo economico.
Viene usato nelle plastiche, come isolante, nell’edilizia, nelle colle, in alcuni tipi di pasta, nei dentifrici. Probabilmente esistono materiali alternativi, ma questo è particolarmente efficace e particolarmente appetibile dal punto di vista economico”.

Quali sono i rischi legati a questo tipo di sfruttamento intensivo?

“Prima di tutto il rischio è occupazionale, perché per produrre le scaglie basta una macchina con due addetti e si distrugge una montagna in pochissimo tempo, rispetto a quello che accadeva tradizionalmente. E poi ci sono i rischi legati all’avvelenamento delle acque del nostro territorio. Le macchine per lavorare hanno bisogno di oli che sono altamente inquinanti: le Apuane, come tutti i territori carsici, hanno un terreno friabilissimo. Ci sono delle fessure nel marmo, che sono le vie dell’acqua: canali che collegano l’alto dei cieli con le profondità delle montagne. Da lì passa l’acqua piovana e scende finchè non incontra un basamento impermeabile e si formano gli acquiferi. La marmettola – una fanghiglia composta da polvere di marmo che ricopre i siti delle cave -ma non solo, anche gli oli esausti, penetrano in queste fessure, insieme all’acqua piovana, e vanno ad inquinare e ad impoverire le nostre riserve. Non ultimo, c’è il rischio della distruzione di un territorio bellissimo, che non a eguali nel mondo. Non è comune infatti trovare vette che sfiorano i 2.000 metri a 10 km dal mare. E’ un territorio ricchissimo di flora e fauna, alcune piante sono endemiche di queste zone, e scompariranno, perché non troveranno più il loro ambiente naturale”.

Il legame tra le cave e l’inquinamento delle sorgenti è stato dimostrato anche da uno studio di Legambiente Carrara, “La prova della connessione diretta tra cave e sorgenti è disponibile già da alcuni decenni: sul fondo delle vasche di decantazione delle sorgenti, infatti, giacevano depositi della fine sabbia silicea (proveniente dal lago di Massaciuccoli) usata per il taglio col filo elicoidale. Poiché quella sabbia era estranea al bacino ed era usata solo per la segagione in cava, si trattava già di una dimostrazione più che sufficiente. Oggi, dopo l’avvento del filo diamantato, quella sabbia non si usa più e, naturalmente, non si trova più nelle vasche delle sorgenti; è però sostituita dai depositi di limo carbonatico (marmettola) proveniente dal taglio col filo diamantato e con le tagliatrici a catena”.

Nell’articolo si parla anche di episodi di inquinamento da idrocarburi dell’acquedotto di Carrara, “Per rifornire di acqua potabile la popolazione, si dovette ricorrere per due settimane alle autocisterne della Protezione Civile. La diffusione spaziale della contaminazione (numerose sorgenti, ubicate in diverse valli e in entrambi i comuni) rendeva inverosimile l’ipotesi causale di uno sversamento accidentale o occasionale e dimostrava che si trattava di un fenomeno di più vasta portata”.

All’interno del parco l’estrazione del marmo è calmierata?

“Non è magari lo fosse. Contingentare la produzione è uno degli obiettivi che tutte le associazioni ambientaliste perseguono, ma le amministrazioni non hanno mai aderito ad iniziative di questo genere”.

 

Carrara; Dalle Apuane ai dentifriciultima modifica: 2010-10-12T12:13:37+02:00da minobezzi1
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