Firenze: Sergio Pallone

Come apparizioni felliniane, le strutture geometrico-architettoniche delle opere di Sergio Pallone si svelano da atmosfere fluide, indefinite: praterie sterminate, acque residue di oceani improbabili. Sembrano paesaggi della memoria impressi nell’anima, quieti e silenziosi; posti ameni, che dilagano fuori dell’uomo e accolgono l’uomo nella sua forma edile: quasi fossero “nature morte” di morandiana memoria.

Eppure, la vita affiora nelle opere di Pallone, come una poesia non declamata, fatta di passaggi tonali, minimalisti. In un’epoca, quella contemporanea, in cui apparire ed esistere sembrano coincidere, in cui se non si urlano le proprie idee sembra che non se ne abbia alcuna, l’opera di Sergio Pallone costringe a una pausa di silenzio, in un mondo di note spesso stonate.

Un silenzio che non è assenza, perché ricco d’atmosfera e di presenze. La presenza dell’uomo è percepita in quelle fortezze, in quelle palafitte, in quei solidi, che cantano come in un auditorium la loro esistenza: una musica armoniosa fatta di toni alti e bassi, di andanti e allegri, di pause.

L’uomo e le sue emozioni sono presenti in metafora. Ora è una libreria vuota, che reclama il suo senso, pur non volendo mostrare la qualità dei libri che potrebbe contenere: come un uomo che rivendica il suo diritto ad esistere, anche senza esibizioni. Ora è un solitario pilastro, ora una reliquia templare, ora un più complesso fortilizio. Queste strutture architettoniche, d’identità indefinita, fluttuano come tracce di un’umanità che può trovare armonia nell’atmosfera di una stanza, o nell’angolo di una natura incontaminata, che racconta il mondo agli albori della civiltà.

Nessun elemento naturalistico fa d’ambientazione ai suoi quadri; nessun albero, nessun cespuglio, nessun orizzonte definito rimandano a porzioni di paesaggi riconoscibili. Tutto è soffuso e minimale, mentre i passaggi tonali dei colori acidi fondono i verdi nei celesti, in una alchimia emotiva, che trova spazio solo nei ricordi, nella melanconia della memoria.

Quanto ci sia di autobiografico nella poetica di Sergio Pallone è solo intuibile. Aver lasciato, nell’infanzia, i paesaggi della sua Argentina può forse spiegare quel dipingere con tenerezza rincorrendo la memoria di un profumo o di una sfumatura, mai restituibile, di luce. Fantasia di un’infanzia, che mitizza la memoria della propria storia. Il tutto lasciando dietro di se qualche traccia di realtà.

Marco Testa

Sessantaquattrorosso
via maggio, 64r – Firenze
Mar-sab 11-13 / 16 – 19
Ingresso libero

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Firenze: Sergio Palloneultima modifica: 2011-03-25T12:49:34+01:00da minobezzi1
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