Viareggio (LU): Mario Monicelli e Pioggia d’Estate

Mario Monicelli, Angelo Gianni e la cinefilìa a Viareggio

negli anni Trenta del Novecento: cronache e memorie


Riccardo Mazzoni




Wilhelm, cos’è mai il nostro cuore senza amore! Una lanterna magica senza luce! Basta metterci un semplice lume ed ecco che immagini splendide si profilano sulla parete bianca! E se non fossero altro che fantasmi fugaci rimane sempre la gioia di contemplarle come ragazzi e di lasciarsi rapire dall’estasi di quelle apparizioni magiche (…) Wilhelm, Dio ti impedisca di ridere, è mai possibile che siano fantasmi le cose che ci rendono felici?” (J. W. Goethe, Werther, prima stesura, 1774, traduzione dello scrivente).


Poiché ora siamo in grado di fotografare i nostri cari, non soltanto immobili, ma anche mentre si muovono, ritraendoli così come essi agiscono, compiono gesti a noi familiari e parlano, la morte cessa di essere assoluta” (“La Poste de Paris”, recensione anonima alla prima proiezione pubblica dei fratelli Lumière il 28 dicembre 1895 nel Salon Indien del Grand Café sul Boulevard des Capucines a Parigi).

Tra l’estate e l’autunno del 1936 furono girati a Viareggio e dintorni due film, entrambi attualmente introvabili ma non per questo da ritenere perduti per sempre: Pioggia d’estate, il primo lungometraggio in 35 mm. diretto da Mario Monicelli, e il cortometraggio a passo ridotto di Angelo Gianni Cronaca, conosciuto anche con il titolo Si gira, realizzato per la partecipazione ai Littoriali della Cinematografia del 1937.E’ il momento operativo, avventuroso e inevitabilmente un po’ velleitario, di una febbrile cinefilìa che negli anni Trenta del Novecento contagiò un numero considerevole di giovani e meno giovani appassionati viareggini (ne fu avvinto, dopo un’iniziale ritrosìa, perfino Lorenzo Viani) – orbitanti per lo più intorno alle cerchie familiari del celebre attore Ermete Zacconi e del drammaturgo, librettista e regista Giovacchino Forzano (il primo, proprietario dal 1930 del Cinema-Teatro Eden; il secondo, fondatore nel 1934 degli Stabilimenti cinematografici Pisorno a Tirrenia), o coinvolti nelle iniziative editoriali del giornalista e poeta Krimer (pseudonimo futurista di Cristoforo Mercati) – di cui gli allora ventunenni Monicelli e Gianni, già compagni di classe in quella variegata fucìna intellettuale che fu il Liceo Ginnasio “G. Carducci”, rappresentarono gli esponenti più talentuosi e consapevoli1.


Mario Monicelli e il mistero storiografico di Pioggia d’estate


Ancora nel 1985 il film Pioggia d’estate – firmato da Monicelli con lo pseudonimo di Michele Badiek – veniva ritenuto “il più clamoroso enigma esistente nella filmografia del cinema italiano degli anni Trenta”, come affermava perentoriamente Roberto Chiti, a cui si deve la prima attendibile ricostruzione storica dell’opera2: recensioni del film inesistenti, nessun critico anziano che avesse avuto l’opportunità di vederlo; tra le poche prove coeve della sua effettiva realizzazione, l’inclusione nel repertorio La produzione cinematografica italiana dal 1930-31 al 1937-38 della Laboremus di Roma (1938). Solo Francesco Savio, nella sua fondamentale filmografia dell’era fascista, Ma l’amore no (1975), aveva riservato all’opera una breve scheda3 senza sciogliere l’enigma del regista e aggiungendo i nomi di tre interpreti – Ermete Zacconi, Ernes Zacconi, Raniero Barsanti – evidenziando laconicamente l’assoluta irreperibilità della pellicola: “ha circolazione fantomatica e scompare senza lasciar traccia di sé”.

Fu proprio nel 1985 che – racconta Chiti – “durante uno dei tanti Festival di cinema minori, un collega siciliano mi suggerì – con riserva – un nome che avrebbe potuto benissimo essere quello autentico dell’ignoto Michele Badiek (da tempo ero ormai convinto che si trattasse di uno pseudonimo). Il nominativo in questione era di un notissimo regista, autore di film popolari ma nel medesimo tempo di rilievo: Mario Monicelli”. Come passo iniziale Chiti intraprese una corrispondenza con Ernes Zacconi – residente a Camaiore con il marito, l’attore Giuseppe Pagliarini, nella villa che fu del padre Ermete dove vennero realizzate la maggior parte delle scene di Pioggia d’estate – la quale, confermando l’identificazione del misterioso regista Badiek con Monicelli, sottolineò per prima il carattere amatoriale e un po’ goliardico del film, “girato da noi per puro divertimento – tutti ragazzi – senza nessun finanziamento”, che ricorrerà insistentemente in tutte le testimonianze successive.

Rammenta Ernes: “La macchina da presa fu costruita a mano, prendendo gli obiettivi in prestito, da mio fratello Giuseppe e da Manfredo Bertini (Medaglia d’Oro della Resistenza) che fu anche l’operatore. Il soggetto lo scrissero insieme Mario Monicelli e mio fratello Luciano. L’organizzatore era Giannetto Guardone (ora avvocato), gli attori io, Raniero Barsanti, Franca Taylor, mio zio Aristide Frigerio e diversi attori occasionali presi dal paese. Zacconi fece la sua apparizione da un balcone (senza recitare). La regia fu di Mario Monicelli sotto falso nome. Raniero Barsanti fungeva anche da macchinista. Essendo il più robusto del gruppo, trasportava la macchina da presa sulle spalle. Il film fu venduto a scatola chiusa perché tra gli interpreti figurava E. Zacconi (che ero io) e nessuno poteva smentirci. Come vede è una barzelletta! I ragazzi abitavano qui in villa e mia

madre (Ines Cristina) sfamava la troupe. Ci siamo divertiti molto e ci abbiamo anche guadagnato! Il film voleva essere qualcosa come Accadde una notte di Capra e fu girato tutto in esterni. Niente di drammatico e niente Zacconi. Solo un gruppo di matti volenterosi ed ingegnosi”. Secondo i ricordi dell’attrice il film raccontava una “storiella d’amore all’americana”, con una sequenza, ambientata nel lago di Massaciuccoli, in cui i due protagonisti, caduti in acqua durante una traversata in barca, vengono ospitati in una casa cantoniera: “Monicelli aveva ideato una scena con un lenzuolo dalle cui estremità Barsanti ed io continuavamo ad avvolgerci e a scioglierci, ragion per cui quel lenzuolo (che poi erano quattro lenzuoli almeno, aggiuntati) era diventato chilometrico”. Quanto allo sfruttamento commerciale della pellicola, la Zacconi accenna confusamente ad una sua distribuzione esclusivamente nel Meridione, puntualizzando: “… se ha girato. Io ricordo che ce lo volevano restituire dopo averlo visto… ma non ce lo siamo ripreso, naturalmente”, inaugurando così il mistero ancora irrisolto del destino dell’opera.

Il periodo delle riprese del film, fissato da Ernes all’agosto del 1936, è procrastinabile fino all’autunno dello stesso anno, in virtù dell’articolo Si continua a girare il film “Pioggia d’estate” apparso sulla cronaca di Camaiore e Lido del quotidiano “La Nazione” del 1 ottobre 1936: “La compagnia Zacconi continua a girare il film Pioggia d’estate. Dopo gli esterni girati nei dintorni incantevoli della nostra città, a Montramito, a Torre del Lago, si continua la fatica degli interni girati la maggior parte nell’ex Politeama Rossi, appositamente attrezzato. La lavorazione sarà terminata fra una diecina di giorni, dopo si procederà al montaggio ed alle ritoccature necessarie. In tal film operano Ermete Zacconi, Frigerio, la Taylor, il giovine e promettente attore Barsanti di Viareggio ed altri. Abbiamo assistito a delle proiezioni private dei vari pezzi del film e abbiamo potuto constatare come sia ricco di scene naturali bellissime, di spunti romantici, di situazioni comiche. Crediamo che il successo più lieto arriderà a questo lavoro”. L’ex Politeama Rossi faceva parte delle proprietà di Ermete Zacconi a Camaiore. E’ interessante rilevare come nell’articolo il nome di Monicelli non compaia e l’opera sia attribuita genericamente agli Zacconi, a conferma di una realizzazione sostanzialmente collettiva del film. Interrogato da Chiti sulle motivazioni per cui fino a quel momento non avesse mai parlato, neppure incidentalmente, dell’esperienza di Pioggia d’estate, il regista rispose candidamente che non gli era mai stato chiesto. Il visto di censura del film data al 31 luglio 1937, la lunghezza era di 1859 metri.

Svelato ormai il segreto o peccato di gioventù, Monicelli affida ai “ricordi al magnetofono” pubblicati nel 1986 da Lorenzo Codelli4 la sua versione della genesi del film: “In quel periodo a Viareggio dove vivevo e dove avevo come amici carissimi fin dall’adolescenza i figli di Ermete Zacconi (Beppe, Luciano e Ernes che poi sarebbe diventata un’eccellente attrice di teatro), girai il mio primo film a 35 mm. Eravamo una masnada famelica di cinema e teatro e io, con il carisma di chi era stato premiato a Venezia (sia pure nel passo ridotto) ma soprattutto di chi era stato terzo o quarto assistente di Machaty in un vero film, fui designato soggettista, sceneggiatore e regista di un film vero, normale, a 35 mm., con l’apporto e il concorso di mezza cittadinanza. Non dimentichiamo che eravamo negli anni ’36-’37, e Viareggio era un centro piccolo ma naturalmente avanzato per quei tempi (Lorenzo Viani, Enrico Pea, Répaci e il Premio Viareggio, ecc.) e inoltre c’era il Carnevale con un certo numero di maestranze specializzate nella costruzione dei carri e dei fantocci semoventi. E fu così che nacque Pioggia d’estate, una storia semi-poetica su di un labile e fugace amore, naturalmente estivo. Ne esiste ancora qualche copia? Chissà. Forse ne conserva una Ernes che naturalmente, giovane, bella e figlia d’arte com’era, fu subito scelta come interprete femminile. Per il partner maschile prendemmo un caro amico, Raniero Barsanti, noto in spiaggia per la sua avvenenza, diventato in seguito un importante esponente di una grande impresa di costruzioni per tutto il Sudamerica. Un compagno di università, università di Pisa, Manfredo Bertini, poi medaglia d’oro della Resistenza, fu l’operatore solo perché si dilettava di fotografia; Luciano Zacconi, pittore e scultore di belle speranze, fu eletto scenografo e costumista, e così tutti assieme, amici e conoscenti dettero una mano alla realizzazione di questo film, organizzato da Beppe Zacconi e Giannetto Guardone, altro amico d’infanzia appassionato e sfaccendato. Naturalmente costringemmo il perplesso Ermete, sua moglie, lo zio e altri della Compagnia Zacconi, a coprire un bel po’ di ruoli del film, che in tal modo costò il puro prezzo della pellicola (pochissima) e dello sviluppo e stampa; e tuttavia fu per me un’esperienza inarrivabile, durante la quale imparai a scrivere per il cinema, a girare, a trattare con gli attori, dai grandissimi a quelli presi dalla strada. E, soprattutto, a constatare, quando poi lo rivedevo in proiezione, che quello che mettevo in scena ogni giorno non corrispondeva se non la minimissima parte alle mie aspettative. Ricordo con tenerezza che circolava fra di noi una parente degli Zacconi, una ragazzetta magra, puntuta, che s’intrometteva dappertutto, con una grazia petulante e chiacchierina, principalmente nei miei rapporti con sua zia Ernes della quale mi ero invaghito: era Nora Ricci, allora sui dodici tredici anni”.

Le successive testimonianze di Monicelli non si discostano complessivamente da questa prima ricostruzione, alternando toni di sufficienza nei confronti dell’impresa produttiva e del valore estetico del film, a curiosità circa il possibile ritrovamento della pellicola. Nel 1988, intervenendo alla retrospettiva dedicata a Il cinema comico di Mario Monicelli curata da Giovanni Ferreri per la Fondazione Carnevale di Viareggio, il regista si soffermò sul contributo offerto da non meglio specificati “carristi” – gli artisti e artigiani specializzati nella costruzione dei giganteschi carri allegorici e dei mascheroni mediante l’innovativa tecnica della carta a calco – alla realizzazione del film.

La memorialistica intorno a Pioggia d’estate si arricchisce dell’importante testimonianza rilasciata nei primi anni Novanta al giornalista e saggista Umberto Guidi da uno degli organizzatori, Giannetto (Giovanni Battista) Guardone5, che fornisce un’indicazione sulla sorte, se non del negativo, di almeno una copia della pellicola: “Il film fu realizzato per iniziativa di Giuseppe e Luciano Zacconi, insieme ad altri studenti viareggini. Ermete si era dimostrato disponibile, con noi c’era Mario Monicelli, già compagno di studi al liceo. Il soggetto venne scritto in cooperativa, come del resto ogni altra cosa del film. Era un’impresa artigianale, fatta in casa, e non c’erano dei ruoli specifici. Non ricordo bene la trama, il soggetto era una commediola su un fugace amore estivo. All’epoca eravamo ammiratori dei film americani. Il modello, si fa per dire, era Accadde una notte, il nostro idolo Clark Gable. In realtà era una storia girata fra i polli di Villa Zacconi, che con la fantasia trasformavamo in una commedia brillante. Nel cast, composto da amici, c’erano Ermete Zacconi, la moglie Ines Maria Cristina, la figlia Ernes e Raniero Barsanti, uno dei famosi fratelli viareggini. Come mezzi tecnici, siccome eravamo ragazzi ingegnosi, aggiustammo delle vecchie macchine da presa del muto. Creammo un teatro di posa a Camaiore, in località Frati, dove gli Zacconi avevano un magazzino per le loro scene. Il parco lampade lo mettemmo insieme in qualche modo. Eravamo in epoca fascista e a quel tempo il governo, per favorire la produzione locale, concedeva con una certa facilità dei premi di produzione. Ci venne riconosciuto un contributo che incassammo a film fatto, mi pare di 300mila lire. Monicelli collaborò con noi, anzi ebbe una parte rilevante nella regia. Poiché aveva già cominciato a lavorare nel cinema, non ritenne però opportuno compromettersi firmando un’opera messa insieme con criteri approssimativi e dilettantistici. Così firmò con un nome di fantasia. Questa nostra impresa fu non dico una goliardata, ma qualche cosa di molto simile, e piuttosto superficiale. Non sapendo che i film normalmente nascono con l’appoggio finanziario della distribuzione, noi pensavamo che una volta montata la pellicola, saremmo andati a Roma e l’avremmo venduto. Trovammo invece tutte le porte chiuse, perché la programmazione era calcolata con anticipo. Nessuno lo volle, non potevano inserirlo in un circuito già completamente programmato. Così ce lo proiettammo fra di noi parecchie volte, finché capitò una strana figura di italo-argentino, mi pare si chiamasse Tarragano, il quale era venuto in Italia per fare affari. Vide il film, gli piacque, e glielo cedemmo per una cifra che non sono in grado di precisare, ma che fu senz’altro molto modesta. La pellicola sparì dalla circolazione; chissà, forse è finita in Argentina”.

Del gruppo fece parte sicuramente anche l’allora giovanissimo Mario Stefano Maffei, collaboratore storico di Monicelli, che proprio con questo film inaugurò il lungo e fraterno sodalizio con il regista.

Nel corso della ricerca, ho rinvenuto presso l’archivio privato di Manfredo Bertini, amorevolmente custodito dal figlio Andrea, un centinaio di spezzoni di pellicola, ottimamente conservati, per un totale di circa quattrocento fotogrammi, evidenti residui di montaggio di Pioggia d’estate: una documentazione di eccezionale importanza che, sebbene non ci permetta di ritessere un racconto per immagini sufficientemente coerente – anche a causa dell’esile filo narrativo tramandato dalle fonti orali – ci ridona tuttavia parecchie suggestioni visive del film, pur nella fissità congelata di ogni singolo fotogramma. Va ricordato che Roberto Chiti indica in Manfredo Bertini – sulla scorta della corrispondenza epistolare con Ernes Zacconi – oltre che il direttore della fotografia anche il responsabile con Monicelli del montaggio dell’opera. Eroe e martire della Resistenza, immolatosi tragicamente nel 1944 a soli trent’anni, Bertini fu un tecnico cinematografico ingegnoso, come testimoniano i brevetti per un Sistema per fondere in un’unica scena due riprese separate con soggetti e sfondi qualunque (la relazione è datata: “ottobre 1941”) e per un Mirino universale e fotometro per usi cinematografici.

A dispetto dei ricordi di Ernes Zacconi, nel film assume una notevole rilevanza la recitazione del padre Ermete: oltre a fare capolino da una finestra come nella testimonianza di Ernes, il grande attore appare in molti altri spezzoni interagendo a più riprese con un anziano ed espressivo personaggio barbuto da identificare senza dubbio con Aristide Frigerio. Il rimando ad Accadde una notte di Capra è trasparente fin dalle pose di Ernes Zacconi e Raniero Barsanti (quest’ultimo con i baffetti alla Clark Gable): la caratterizzazione on the road delle vicende si palesa nella costante presenza di due automobili, frequentemente associate al personaggio interpretato da Franca Taylor (invecchiata per l’occasione): una manierata dama munita di occhialini6. Le disavventure nel lago di Massaciuccoli ricordate da Ernes sembrerebbero determinate, più che da una gita in barca (che tuttavia compare in un fotogramma isolato), dal recupero di un carro finito nelle acque di un canale, intorno al quale ruotano tutti i personaggi del film, evidentemente impegnati in un improbo trasloco nel bel mezzo della campagna versiliese di cui la pellicola ci restituisce ampi scorci di settantacinque anni fa. Nel frammentario materiale filmico pervenutoci non c’è traccia della scena dei lenzuoli rievocata da Ernes, tuttavia molte sequenze sono ambientate all’interno della casa cantoniera, in particolare nella stalla, dove spiccano alcune gag visive di Ermete Zacconi e Frigerio. Uno spezzone apparentemente estraneo alla labile orditura narrativa raffigura una misteriosa e fiabesca città turrita, forse luogo ideale d’inizio (o fine) della storia.

Al fascinoso corpus di immagini di Pioggia d’estate ritrovate nell’Archivio Bertini, EuropaCinema dedica una Mostra dai risvolti medianici – in empatia con l’essenza ultima, antropologica e poetica, dello strumento cinematografico – che costituisce un originale e affettuoso omaggio agli anni viareggini del giovane Monicelli e del suo gruppo di amici cinefili.


Cinemà, frenetica passion…


Negli anni successivi alcuni dei partecipanti alla realizzazione del film furono chiamati da Andrea e Giacomo Forzano – i figli di Giovacchino – a lavorare come maestranze qualificate negli Stabilimenti Pisorno; in particolare l’opera prima come regista di Andrea Forzano, Ragazza che dorme del 1941, girata tra Tirrenia e le Alpi Apuane, si avvalse della collaborazione come scenografo di Luciano Zacconi e come operatore alla macchina da presa di Manfredo Bertini. Quest’ultimo fu direttore della fotografia anche nei film Il Re d’Inghilterra non paga (1941) di Giovacchino Forzano, Cenerentola e il signor Bonaventura (1942) di Sergio Tofano e nel travagliato La casa senza tempo (1943) di Andrea Forzano, rimontato dopo la guerra mondiale per adeguarlo al mutato clima politico; mentre Luciano Zacconi curò le scenografie di Don Buonaparte (1941) di Flavio Calzavara dall’omonimo dramma di Giovacchino Forzano, interpretato dal padre Ermete, particolarmente attivo in quegli anni a Tirrenia in ruoli di patriarca adatti alla sua già veneranda età. Il protagonista maschile di Pioggia d’estate, Raniero Barsanti, ebbe una parte nell’incompiuto film di Giovacchino Forzano Piazza San Sepolcro (1943)7.

Com’è noto, lo stesso Monicelli deve all’amicizia con Andrea e Giacomo Forzano (anch’egli suo compagno di classe con Gianni al Liceo Ginnasio “Carducci”) l’opportunità di frequentare gli Stabilimenti Pisorno, iniziando così, dopo le esperienze dei filmati a passo ridotto girati a Milano con il cugino Alberto Mondadori – Il cuore rivelatore (1934) e I ragazzi della via Paal (1935), dall’omonimo romanzo di Molnàr, premiato a Venezia – quella che si rivelerà una “lunga anomala gavetta” (Cosulich), proseguita con alterne vicende fino alla fine degli anni Quaranta.

Tra gli altri partecipanti alla realizzazione di Pioggia d’estate, nell’immediato dopoguerra ritroveremo Giuseppe Zacconi e Giannetto Guardone impegnati con lo stesso temerario afflato cinefilo nell’avventura produttiva di Pinocchio (1946): ideatore degli apparati scenografici del film fu il pittore Renato Santini, reduce da esperienze professionali a Pisorno, mentre il burattino di legno fu intagliato dallo scultore Inaco Biancalana.

A Tirrenia dal 1937 lavorò come scenografo anche Uberto Bonetti, il creatore della maschera di Burlamacco. Disegnatore e grafico di talento, Bonetti ci ha tramandato con le sue caricature una sapida ed estrosa galleria dei personaggi che animavano le favolose stagioni estive viareggine a cavallo

tra gli anni Venti e Trenta, appartenenti al mondo dell’arte, della letteratura e dello spettacolo. “Le stagioni di allora erano eccezionali” – racconta Krimer8“vivevano a Viareggio due autentici personaggi del teatro: Ermete Zacconi e Leopoldo Fregoli. Quest’ultimo ospitava d’estate il grande impresario Ermete Liberati. Fate conto un Paone moltiplicato per dieci. La presenza di Liberati a Viareggio faceva si che le compagnie si formassero qui, qui si scegliesse il repertorio, e qui debuttassero al Politeama di Pea, e se tutto andava bene, ottenessero da Liberati la scrittura per il “giro”. Da Petrolini alla Lidelba, da Falconi a Spadaro, da Cimara a Ninchi, da Betrone alla Bluette, dalla Merlini a De Sanctis… era una girandola entusiasmante di spettacoli d’ogni genere. Una pacchia per i viareggini”. In questa fervida atmosfera insieme culturale e mondana sorse nel 1929 il “Premio Letterario Viareggio”.

Preziosa memoria visiva di quel periodo è custodita nei numerosi cinegiornali e documentari dell’Istituto Luce, ma recentemente sono emersi da archivi familiari e privati interessanti filmati amatoriali – proprio in quel tempo la Kodak aveva introdotto il formato 8 mm. – come i due cortometraggi realizzati dal pittore Moses Levy apparsi in Rete sul sito “YouTube” (con colonna sonora moderna) dedicati rispettivamente alla vita balneare e al carnevale estivo del 1932.

La vicinanza con Tirrenia favorì l’ambientazione a Viareggio degli esterni di alcuni film, come il singolare “protowestern alla tirolese” (Brunetta) L’imperatore della california (1935) di Luis Trenker e il mélo Stella del mare (1938) di Corrado D’Errico, interpretato dal tenore Galliano Masini, entrambi girati in Darsena: “Grazie alla maestria dell’operatore Akos Farkas” – ha scritto lo storico locale Marco Palmerini9Stella del mare offre esterni splendidi, dove le bellezze naturali di Viareggio – dalla meravigliosa luminosità del Tirreno al panorama incomparabile delle Alpi Apuane – sono inquadrate in sequenze particolarmente suggestive”;la frase di lancio dell’opera era: “Un film che odora di salsedine marina!”. Le riprese a Torre del Lago del film-documentario Armonie pucciniane di Giorgio Ferroni (1938), finanziato dall’Istituto Luce, trovarono eco in due articoli apparsi su “La Nazione” a firma del giovane giornalista Gualtiero Jacopetti10, futuro regista del famigeratoMondo cane, anch’egli formatosi al Liceo Ginnasio “Carducci”.

Tra i tecnici, accanto a Bertini occorre ricordare almeno Colombo Pieraccioli, valente direttore della fotografia, uno dei primi diplomati nel 1939 ai corsi del Centro Sperimentale di Cinematografia.

L’onda lunga della cinefilìa viareggina degli anni Trenta proseguirà nel dopoguerra con l’organizzazione nel 1947 del “Primo Convegno Nazionale del cinema a passo ridotto”, con manifesto disegnato da Uberto Bonetti, e la contemporanea pubblicazione della rivista “Orsa minore”, promossa e diretta da Mario Stefano Maffei.

Negli ultimi anni della sua vita, anche Lorenzo Viani fu conquistato dalla passione per il cinema – in una sorta di redenzione rispetto allo sdegnoso rifiuto iniziale – come narra il suo primo biografo Krimer nell’articolo Viani e il cinema apparso su “Il Popolo di Sicilia” del 1 dicembre 1940: “A Lorenzo Viani il cinema interessava poco o niente; in certi pomeriggi ero introvabile e in Darsena e sul viale e a casa; guai tentare di scusarmi, il giorno dopo, dicendo: “Sono stato al cinema”: Viani m’iniziava subito un processo: non ammetteva che una persona intelligente perdesse il suo tempo in una sala cinematografica. Non considerava un’arte il cinema. Non lo sentiva (…) Ma un bel giorno Viani entrò in una sala cinematografica. I suoi bambini volevano andare a vedere un certo film, qualcuno li doveva accompagnare, la madre era trattenuta a scuola: allora Viani si decise. Speravo che mi dicesse poi le sue impressioni: se la cavò affermando: “Ho dormito”. Ma intanto il ghiaccio era rotto: e Viani tornò spesso al cinematografo. E cominciò piano piano a ricredersi (…) Spesso ero io ad accompagnarlo, spesso ci si recava da solo (…) E un giorno arrivò nientemeno a confidarmi: “Sto pensando di scrivere qualcosa per il cinema”. L’idea prese forma giorno per giorno. Il figlio di Viani, Franco, sembrava un cherubino: bellissimo, d’oro i capelli, gli occhi azzurri, dolci, una vocetta tutta grazia e musica; ecco, Franco sarebbe stato il protagonista del film. E accanto a lui, un altro interprete: lo scultore pietrasantino Giulio Di Canale, uno dei nostri, uno del manipolo dei vàgeri, una maschera personalissima, ossuta, espressiva, due occhi neri accesi, i grigi capelli a piccoli ciuffi ribelli, un tipo (…) Il film doveva avere per ambienti la pineta di ponente e le Alpi Apuane. Doveva imperniarsi su di una strana avventura, di sapore mitico. Attorno ai due protagonisti dovevano muoversi non attori professionisti, ma gente del popolo, autentici marinai e cavatori (…) Quante volte trovavo Viani in pineta, solo ed assorto. Sembrava ragionasse con i pini; sembrava che questi fossero vecchi amici con i quali si confidasse in segreto. Ed altri colloqui li faceva col mare. Era quello il lavoro preparatorio per il dramma che poi doveva diventare film. Si precisavano nella sua mente gli ambienti, nasceva l’atmosfera, si delineava il linguaggio. Io gli dicevo: “Gli interni li dovranno girare a Tirrenia”. “Nemmeno per sogno”, mi rispondeva. “Entro case di cartone? Gireremo tutto qui. Non voglio niente di artificiale. Il cartone non mi garba”. Quando Giulio Di Canale capitava nel nostro gruppo e presente era pure Franco, Viani godeva vedendo vicini lo scultore amico e il proprio figlioletto. “Vedi? L’angelo e il diavolo” (…) Lo dovevate vedere Viani nei giorni che era preso dall’entusiasmo per la sua idea; perfino nelle cabine di proiezione entrava; e voleva vedere le macchine e voleva che gli illustrassero i congegni; e nelle librerie cercava opere che gli parlassero di cinematografo. Una febbre. Ma veniva l’estate, il caldo lo torturava, del film non se ne parlava più. “Quest’inverno, quest’inverno”. Povero Viani, venne un altro inverno e fu per lui fatale: morì”.


Angelo Gianni, l’Estetica universale del cinema e i Littoriali della cinematografia


Il vero enfant prodige della cinematografia viareggina degli anni Trenta fu tuttavia Angelo Gianni, futuro italianista illustre, che in quell’epoca sembrava irresistibilmente destinato a un radioso avvenire nell’ammaliante universo della celluloide. Temperamento vulcanico e irruento, figlio di Alberto Gianni, mitico capo-palombaro della nave recupero “Artiglio” – scomparso nel 1930 con alcuni compagni in un terribile incidente al largo di Brest e subito entrato nell’olimpo degli eroi nazionali – il giovane Angelo crebbe nel culto della figura paterna sviluppando nel contempo una precoce passione per il mezzocinematografico che trovò sbocco in una serie di vibranti articoli critici e teorici miranti a formare una coscienza filmica, educando il pubblico, soprattutto giovanile, a saper vedere il cinema, usciti fin dal 1932 su diversi periodici locali e regionali, come “Il Popolo Toscano”, “L’Artiglio”, “Gioventù”, “Tirrena”, “Il Campano”, e nazionali, come “Quadrivio” e “L’Italia Letteraria”. In particolare, alla fine del 1934 Gianni pubblicò a capitoletti sul settimanale “L’Artiglio” – di cui era caporedattore Krimer, suo estimatore – l’Estetica universale del cinema, poi edita in volume11, rielaborata, con copertina disegnata da Uberto Bonetti, che fece di lui, non ancora ventenne, uno dei primi teorici cinematografici italiani spalancandogli le porte del Centro Sperimentale di Cinematografia. Nell’Estetica, Gianni individua lo specifico filmico nel montaggio – nell’“arte di unire vari determinati modus vivendi” – e acclama idealisticamente il regista come l’autore-demiurgo del film. Accanto agli scritti di Gianni, “L’Artiglio” pubblicò contributi critici e polemici di Giuseppe Lega e Fernando Raimondi, firmatari nel 1933 con Marisa Mori dell’ancora storiograficamente misconosciuto Secondo manifesto della cinematografia futurista, maturato nell’ambito toscano dei “Gruppi futuristi d’iniziative” diretti da Antonio Marasco, anch’egli collaboratore de “L’Artiglio”.

Nel Fondo Krimer presso il Centro Documentario Storico del Comune di Viareggio è conservata una lettera di ringraziamento dattiloscritta di Gianni in procinto di partire per il Centro Sperimentale di Cinematografia: “Mio caro Krimer, ho ricevuto ora una comunicazione da Luigi Chiarini. Le lezioni del Centro Sperimentale avranno inizio lunedì prossimo. Domenica io partirò per Roma (…) In questi giorni, nei quali sto per avviarmi ad un serio studio di cinema, per realizzare le mie aspirazioni e servire l’Italia coll’ingegno che ho avuto in sorte, il mio pensiero corre spesso a te, caro Krimer, che per primo mi apristi una porta, mi incoraggiasti, credesti in me. E non solo colle parole vane, ma col coraggio di lanciare uno striminzito volumetto fatto col cuore, ingenuo ingenuo, dell’ingenuità del bimbo di diciott’anni, ma pieno di fede, di ardore, di speranza. Per merito della Estetica Universale io lascio oggi Viareggio per iniziare dei veri studii di cinema. E, credimi, non potrò mai dimenticare, qualunque cosa mi riservi l’avvenire, la gloria, l’ironia, il sogno realizzato o la disillusione, che sempre trovai in te un aiuto disinteressato, cordiale, amichevole, sincero, spontaneo. Addio, se un giorno sarò regista o potrò fare qualcosa, tu lo sai… Nel mio cuore c’è Palombari”. Si tratta del dramma teatrale scritto da Krimer e rappresentato dalla compagnia di Raffaello Niccoli nel 1934 – con il quale l’autore mette fine alla sua esperienza futurista aderendo a un realismo d’ispirazione popolare debitore della lezione vianesca – dedicato alla tragedia de “L’Artiglio”, dal quale Gianni e Krimer trarranno un dettagliato soggetto per film, mai realizzato, pubblicato in volume nel 193912. E’ doveroso segnalare che Krimer è autore di un interessante produzione documentaristica, oggi dispersa.

Dal 1935 al 1938, Gianni ottenne significativi riconoscimenti ai Littoriali della Cinematografia – svoltisi a Roma, Venezia, Napoli e Palermo – ai quali partecipò come esponente del Cineguf di Pisa e Lucca, pur non riuscendo mai a fregiarsi dell’ambìto titolo di Littore. Nel 1936 e nel 1937 si piazzò al secondo posto nel convegno di critica cinematografica dedicato rispettivamente al Cinema come documento della civiltà di un popolo (dietro al bolognese Carlo Doglio) e a La funzione del cinematografo in rapporto alle altre attività artistiche (dietro al milanese Fantasio Piccoli; tra i segnalati spicca il nome di Michelangelo Antonioni); nel 1938 fu ancora secondo dietro al romano Gianfranco Saponieri e davanti ad Alberto Lattuada nel concorso per un soggetto cinematografico a tema libero con l’elaborato dal titolo Verso la luce; al suo esordio nel 1935 aveva ottenuto il settimo posto al convegno di critica cinematografica dedicato a I caratteri del cinema fascista (vincitori a pari merito furono Alberto Lattuada del Cineguf di Milano, Nicola Manzari del Cineguf di Roma ed Enrico Fontana del Cineguf di Venezia) e di nuovo settimo risultò al convegno di critica cinematografica del 1938 che aveva per argomento Le possibilità tecniche ed artistiche del passo ridotto in cui primeggiò il torinese Fernando Cerchio. Ai Littoriali del 1935 avevano preso parte anche Mario Monicelli e Alberto Mondadori per il Cineguf di Milano con il film a passo ridotto Il cuore rivelatore che si piazzò al sesto posto nel concorso vinto dai napoletani Domenico Paolella e Remigio Del Grosso13.

Nel 1937 l’avventura ai Littoriali di Gianni fu particolarmente intensa: insieme al ricordato secondo posto al convegno di critica cinematografica, ottenne una segnalazione per un soggetto cinematografico sul tema Scene della vita di un soldato, ed ebbe finalmente l’opportunità di partecipare al concorso per un film a passo ridotto – vinto dal pluripremiato Domenico Paolella del Cineguf di Napoli – con il cortometraggio (muto) Cronaca, girato l’anno prima.

Il quotidiano “La Nazione” seguì con alcuni articoli le fasi della lavorazione. Sulla cronaca di Viareggio del 4 settembre 1936, sotto il titolo Il film di un allievo regista cinematografico compare questo annuncio: “L’Ufficio Cultura del N.U.F. “Lucio Bazzani” comunica: per iniziativa del G.U.F. di Lucca unitamente al N.U.F. locale dalla prossima settimana il nostro iscritto Angelo Gianni, allievo regista del Centro Sperimentale di Cinematografia, girerà un film a passo ridotto da presentarsi ai Littoriali dell’anno XV e alla Biennale di Venezia. Pertanto tutti coloro che intendano figurare in questo film in veste di attori e comparse sono invitati a presentarsi alla sede del N.U.F. Casa del Fascio, il giorno lunedì 7 c.m. alle ore 9.30”.

Le riprese iniziarono sabato 12 settembre. Così l’articolo Il “Si gira” del film del G.U.F. – Regista, attori e attrici apparso sulla cronaca locale dell’11 settembre descrive la troupe: “Come abbiamo già annunciato, regista e sceneggiatore di questo film è Angelo Gianni, allievo del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Si è unito a lui, in una salda collaborazione come aiuto regista il giovane universitario fascista Perotto Giovanni, altro ottimo elemento. Operatore è Tropeano Francesco, che ha già una certa esperienza in tale arte e che è inoltre fiduciario della Sezione Cinematografica del G.U.F. di Pisa. Nel ruolo di attrice principale figura Ilva Domenici, ormai nota nel campo filodrammatico. Gli altri attori sono ancora sotto studio. Assolve il delicato compito di direttore di produzione il camerata Giuseppe Bonanno, fiduciario dell’Ufficio Culturale del G.U.F.”. Nel 1939 Tropeano diresse con Giuseppe Masini Itinerari di Pisa che fu selezionato per la prestigiosa Mostra del Documentario di Como.

Nello stesso articolo il giornale si fa portavoce delle esigenze della produzione: “Domenica 13 settembre la lavorazione di questo film si svolgerà in Passeggiata davanti al caffè Poldo, dalle ore 16.30 alle ore 18.30. La scena che dovrà girarsi davanti al suddetto caffè richiede molta folla e quindi siamo fiduciosi che non mancherà il gentile concorso dei bagnanti e dei concittadini. Siamo certi che il film riuscirà a confermare nuovamente il valore degli ottimi elementi che lo dirigono e che lo interpretano. Pertanto il G.U.F. rinnova l’invito al gentile pubblico affinché voglia collaborare con la sua presenza alla riuscita di una delle scene principali del film. Saranno eseguite particolari riprese e primi piani alle gentili signore e signorine. Detto film sarà tra breve programmato in uno dei locali cinematografici cittadini per poi concorrere ai Littoriali dell’anno XV e alla Mostra Cinematografica di Venezia”.

Il 15 settembre appare su “La Nazione” il lungo articolo Il film del G.U.F., a firma “Mar. Maf.”, presumibilmente il già citato Mario Stefano Maffei, impegnato nello stesso periodo alla lavorazione di Pioggia d’estate, che merita riportare per intero perché nei suoi toni ingenui costituisce un gustoso spaccato della cinefilìa viareggina in atto nel lontano 1936: “E’ noto che il concittadino Angelo Gianni studente universitario e allievo del Centro Sperimentale Cinematografico di Roma sta attualmente girando nella nostra città un film a passo ridotto con il quale il Gianni, rappresentando il G.U.F. di Pisa, concorrerà ai Littoriali della Cultura e dell’Arte e alla Biennale Veneziana. Il Gianni non è nuovo nel campo cinematografico: infatti bastano le sue affermazioni ottenute ai Littoriali anno XIII e XIV ai quali partecipò trattando il tema “critica cinematografica”, e le numerose e interessanti pubblicazioni sui migliori settimanali letterari quali “Quadrivio” e “L’Italia letteraria” nonché altri settimanali che si occupano di cinema, ad affermare e rivelare il Gianni cineasta di indiscusso valore. Così pure il volumetto Estetica universale del cinema edito a

cura del giornale “L’Artiglio” fa notare il concetto e l’idea che il Gianni ha sul cinema. Ai Littoriali anno XV egli non parteciperà come critico, ma bensì come regista. Compito molto più alto e gravido di responsabilità la cui portata è massima. Ma “Angiò”, come lo chiamano gli amici, è conscio del fatto a cui va incontro e dopo un’estate che per lui non è stata di riposo, ma di lavoro, ha iniziato domenica la lavorazione della sua pellicola a passo ridotto. Ho detto estate perché egli aveva nella mente il suo film. Ed ecco che dal soggetto ha dovuto trarre la sceneggiatura, parte difficilissima del cinema, della produzione, gli artisti che il Gianni non trovava. Egli ha girato, ha osservato le zone adatte e infine ha trovato e si è messo subito al lavoro. La sceneggiatura del film è ottima e rispondente pienamente alle esigenze cinematografiche. Veniamo a parlare della lavorazione che domenica è entrata nel suo pieno fervore e sino dalla mattina alle ore 10 la troupe della sezione cinematografica del G.U.F. era in marcia per le vie cittadine e in particolar modo nel viale Marconi e Margherita. In questi viali si sono puntate diverse panoramiche sui locali e insegne degli stessi e si è girato davanti a Poldo un particolare della parte della protagonista signorina Ilva Domenici. Nel pomeriggio alle ore 14 si era già in assetto di lavorazione e numerosi dettagli, e primi piani, primissimi piani, campi lunghi, si sono girati presso il caffè Margherita gentilmente concesso a disposizione del cineguf. Dopo di che con l’autopompa del Corpo Pompieri della R. Misericordia a completo nostro servizio s’è iniziato la ripresa di numerose carrellate che il valore e la fermezza unite al buon gusto dell’operatore studente universitario Francesco Tropeano avranno reso di ottimo effetto. L’opera del direttore di produzione universitario Bonanno Ruggero e dell’aiuto regista Perotto ha contribuito alla perfetta riuscita della giornata di ripresa. Mercoledì 16 corrente mese il Gianni riprenderà il suo lavoro portandosi sulla linea ferroviaria Viareggio-Lucca per girare alcune scene di carattere ferroviario, particolarmente difficili e che richiedono doti e competenza di veri tecnici della cinematografia. La tanto annunziata scena di massa che doveva girarsi davanti a Poldo nelle ore pomeridiane non ha avuto luogo per completa mancanza di folla in quelle ore di buona luce e che del resto erano state specificate anche all’annunzio su queste colonne. Ringraziamo pertanto tutti coloro che domenica hanno assecondato il regista nella ripresa di queste prime scene e anticipatamente ringraziamo quelli che eventualmente si presteranno allo svolgimento dell’azione”.

Il film fu proiettato in prima visione nel dicembre del 1936 nell’aula magna del Liceo Ginnasio “Carducci” – dove Gianni aveva studiato e dove tornerà come insegnante di materie letterarie – come riporta la cronaca di Viareggio del quotidiano “La Nazione” del 6-7 dicembre: “Ieri sera, dinanzi alle Autorità e a diversi invitati, è stato proiettato in forma privata nell’Aula Magna del Liceo Ginnasio, il film Si gira, che riproduce alcune scene locali con una leggera trama sentimentale, eseguite dal nostro N.U.F. sotto la direzione del regista Gianni per concorrere ai Littoriali della Cinematografia. La proiezione di questo film che ha ottenuto buon successo è stata preceduta da una breve presentazione del Gianni, il quale ha spiegato agli intervenuti la trama del lavoro e ciò che gli studenti hanno fatto per realizzarlo”.

La “leggera trama sentimentale” di cui parla l’articolo è stata suggestivamente rievocata dall’attrice principale Ilva Domenici – altra eccellenza giovanile dell’epoca, più volte ricordata dalle cronache locali per i suoi successi nelle recite teatrali e nelle manifestazioni sportive (fu campionessa toscana di scherma) – nel suo bel libro di ricordi Chiare memorie14: Cronaca: così si intitolava il cortometraggio che gli universitari del Guf di Pìsa, quasi tutti maggiorenni, prepa­ravano per i Littoriali della cultura. Ad Angelo Gianni, allie­vo del Centro sperimentale di Roma, furono affidate la regia e la sceneggiatura. Tutti, a Viareggio ed anche altrove, cono­scevano “il Gianni”, un giovane intelligente, una buona pen­na. Ma Angelo era conosciuto anche perché figlio di un fa­moso palombaro. Il padre, capo della squadra palombari viareggini, ritenuti i più bravi del mondo, morirà, insieme a tutti i suoi uomini, nell’impresa del recupero di un carico d’oro affondato nel Mare del Nord (…) Tutti i giornali d’Italia e d’oltre Italia parlarono ampiamente di questa impresa trasformatasi in tragedia. In Versilia, il pianto di tut­ti, ma in otto famiglie lo strazio più atroce (…) Torniamo al “cinema”, e vediamo il cast. Come già detto, Angelo regista e sceneggiatore; Perotto l’aiuto regista, Troiano l’operatore e la Domenici interprete principale. Ma c’erano anche gli addetti alle comparse, i trovarobe, una truccatrice e i porta-attrezzi. Il tutto molto bene organizzato. La trama? Semplice, possibile, umana. Il luogo: Viareggio. L’ambiente: la darsena, il molo, il mare, le barche, le reti, la ferrovia, i binari, i cancelli, gli scambi. Personaggi di massa: pescatori, calafati, gente di mare – vecchi marinai, ragazzi portaceste, gente comune. Il personaggio principale è una ragazza audace, volenterosa e decisa, che aiuta il padre nelle fatiche che comporta la messa a punto dei pescherecci. La ragazza ha un fidanzato che lavora nelle ferrovie, con­trolla gli scambi, le longarine, i bulloni. Il giovane, mentre lavora tra i binari per sistemare un raccordo, scivola con un piede in mezzo alle rotaie dello scambio e il suo scarpone ri­mane incastrato. Vani i tentativi di togliere il piede da dentro lo scarpone, stretto fra le due verghe. Il giovane grida “Aiuto”, ma nessuno lo sente. Intanto scorge che s’è acceso il disco rosso: fra poco su quel binario passerà un treno. Il macchinista vede da lontano “un uomo sui binari”, ri­petutamente preme il pulsante del “fischio”, frena, ma… un disastro! La notizia passa veloce. Allarme alla stazione… un treno… uno scambio… un giovane… forse morto, forse sol­tanto ferito… “Sì, quel bel giovane”… il figlio del Gori… Da una bocca all’altra, dalla ferrovia al centro, dal centro alla darsena; entra fra le barche, le reti, le vele, le ceste. La ragaz­za ascolta le voci, coglie immediatamente la notizia. Si tratta del suo fidanzato? Del suo amore? Ora è su in alto, vicino alla coffa, ha appena finito di agganciare la vela… vuol capire meglio. Pronta, decisa, agguanta una corda che là vicino pende dall’alto e scende agile, veloce. Corre verso il timone, suo padre la guarda ma non parla. “Sì, pare sia il Gori”, dice qualcuno. Ora la ragazza salta da un peschereccio all’altro per arriva­re alla banchina; corre… urta la gente. Sempre correndo arriva alla stazione. Le persone la guardano; qualcuno mormora qualcosa, qualcuno riconoscendola capisce dove va. Ora corre fra i binari, sui sassi, sulle longarine… è sfinita. Si ferma, chia­ma grida disperatamente il nome del suo ragazzo. Il film era muto, ma io chiamavo davvero. Gridavo. Bellissime le scene del cane, del mio cane, che mi accompagnava correndomi dietro, vicino ed anche davanti, dalla darsena fino alla ferrovia, e poi ai binari…

Il cortometraggio si situa in quella scelta di campo – etica ed estetica – che privilegiava la rappresentazione della vita delle classi popolari attraverso forme di recitazione “spontanea”, anticipante per molti aspetti il neo-realismo, già individuata nei progetti cinematografici di Krimer e Viani.

Nel 1939 Angelo Gianni si laureò con una tesi in studi storici alla facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Pisa (il vecchio compagno di classe Monicelli otterrà la laurea un paio di anni dopo in pieno conflitto mondiale). Nel frattempo aveva abbandonato il Centro Sperimentale di Cinematografia: molti indizi fanno supporre che il passaggio da un cinema teorizzato, sognato, cantato a un cinema concretamente praticato non sia stato esente da profondi ripensamenti e disillusioni, come nei più nefasti presagi della lettera a Krimer. Il lunghissimo apprendistato che permise a Monicelli di impadronirsi delle tecniche e delle convenzioni del mestiere era probabilmente inconcepibile per un regista in erba dalle ineludibili impellenze autoriali come Gianni. Seguendo un percorso comune a molti intellettuali della sua generazione, negli anni della guerra visse la controversa e sofferta evoluzione dalla “fronda” fascista a un antifascismo militante. Dal dopoguerra, pur continuando a coltivare per molto tempo la passione cinematografica come divulgatore e animatore di cineclub15, si consacrò all’insegnamento e allo studio della letteratura italiana, affermandosi come uno dei più conosciuti e prolifici autori di manuali e libri di testo scolastici, sui quali si sono formate intere generazioni di studenti.

 

1 Ringrazio vivamente tutti coloro che mi hanno supportato nella ricerca e nella stesura del saggio, in particolare gli amici dell’Imagoteca viareggina – degni continuatori dei cinefili degli anni Trenta – e, in ordine rigorosamente alfabetico: Euro Baracchi, Andrea Bertini, Giovanni Ferreri, John Gattai, Federica Ghiselli, Umberto Guidi, Claudio Lonigro.

2 R. Chiti, Monicelli, Zacconi e la “Pioggia d’estate”, in “Immagine. Note di storia del cinema”, 3, estate 1986, pp. 23-25.

3 F. Savio, Ma l’amore no. Realismo, formalismo, propaganda e telefoni bianchi nel cinema italiano di regime (1930-1943), Milano, Sonzogno, 1975, p. 270.

4 M. Monicelli, L’arte della commedia, a cura di L. Codelli, Bari, Dedalo, 1986, pp. 17-18.

5 U. Guidi, Viareggio Effetto Cinema. La Versilia e il grande schermo dai fratelli Lumière ai giorni nostri, Lucca, Pacini Fazzi, 1993, pp. 52-53; ripreso in U. Guidi, Questo mare infinito. La Versilia e il cinema, Firenze, Aska, 2006, pp. 28-30.

6 Una delle automobili fu messa a disposizione dall’avvocato Giuseppe Gattai, amico di alcuni membri della troupe: sul set Gattai conobbe Franca Taylor e se ne innamorò. L’aneddoto mi è stato raccontato dal figlio della coppia, John Gattai.

7 S. Della Croce, I film di Tirrenia. Filmografia 1935-1969, in Il cinema nelle città. Livorno e Pisa nei 100 anni del cinematografo, a cura di L. Cuccu, Pisa, ETS, 1996, pp. 205-223.

8 Krimer, Affresco per Lorenzo Viani, Sarzana, Zappa, 1960, pp. 36-37.

9 M. Palmerini, 1938. Si gira a Viareggio il film “Stella del mare”, in “Viareggio ieri”, seconda serie, anno II, n. 14, ottobre 1989, pp. 17-19.

10 G. Jacopetti, In margine a un documentario: intimità pucciniane e confidenze cinematografiche, “La Nazione”, Cronaca di Viareggio, 23 marzo 1938, e Apoteosi pucciniana in un documentario cinematografico, “La Nazione”, Cronaca di Viareggio, 30 marzo 1938.

11 A. Gianni, Estetica universale del cinema, Viareggio-Lucca, Collezione di “Tirrena” (rivista diretta da Krimer), Tip. Tecnografica, 1935. Molto interessanti anche le coeve composizioni poetiche di Gianni pubblicate, grazie alla consueta intermediazione di Krimer, su “L’Artiglio” e “Tirrena”.

12 C. Mercati, A. Gianni, Palombari. Soggetto cinematografico tratto dal dramma omonimo di Krimer, Roma, Unione Ed. d’Italia, 1939.

13 Littoriali della cultura e dell’arte, in Storia del cinema italiano, vol. 5: 1934-1939, a cura di Orio Caldiron, Centro Sperimentale di Cinematografia, Edizioni di Bianco e Nero, Venezia, Marsilio, 2006, pp. 635-637.

14 Ilva Domenici Baracchi (con la collaborazione dei figli Euro e Fulco Baracchi), Chiare memorie, Napoli, Guida, 1999, il capitolo “Cronaca”… si gira!”, pp. 157-162. Godibilissimo in altre pagine del libro è il resoconto delle esperienze lavorative della giovane Domenici a Tirrenia nell’estate del 1937; un vivido spaccato, senza reticenze, dell’ambiente cinematografico di Pisorno, con la variegata genìa di attori, registi e produttori che lo frequentavano. Ilva Domenici era soprannominata “Lupe” per la straordinaria somiglianza con la diva di Hollywood Lupe Velez, la cui effigie era comparsa sulla copertina del primo numero de “La settimana enigmistica” uscito il 23 gennaio 1932.

15 In un incontro pubblico tenutosi a Massa Marittima nell’autunno del 2005 il regista Umberto Lenzi ha confessato il debito di riconoscenza verso Angelo Gianni nella scelta di dedicarsi alla professione cinematografica: “Tutto è cominciato nel 1949, quando studente del liceo classico di Massa Marittima, assistei a una lezione di cinema tenuta dal professor Angelo Gianni, l’eccezionale insegnante di italiano che molti massetani ricordano ancora oggi con affetto e gratitudine. Al Cinema Mazzini si proiettava un film americano del regista John Brahm, Il pensionante, un thriller imperniato sulla figura del mitico serial killer Jack lo Squartatore. In quell’occasione, Gianni riunì tutti gli studenti massetani in quella sala e dopo la proiezione del film tenne una lezione sulla regia e il montaggio cinematografici, con una competenza e una profondità che sorprese un po’ tutti e che su di me lasciò un segno indelebile. Angelo Gianni aveva frequentato, prima di dedicarsi all’insegnamento, il Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma, avendo come compagni di corso Pietro Ingrao, Gianni Puccini, Vittorio Cottafavi.. Aveva in seguito rinunciato al cinema, dedicandosi alla professione più seria di insegnante di lettere. Con il Gianni, che mostrava una certa simpatia nei miei confronti, alcuni mesi dopo fondammo il Circolo del Cinema di Massa Marittima, che dal ’49 al ’55 costituì un punto di riferimento importante nel panorama della cultura cinematografica italiana, che a quel tempo era ancora agli albori (…) Per il cinema, confesso, avevo preso “una sbandata” e Gianni, anziché frenare i miei entusiasmi, mi spronava verso la strada che lui aveva interrotto, forse per scarsa fiducia nei propri mezzi”.

 

 


 

Viareggio (LU): Mario Monicelli e Pioggia d’Estateultima modifica: 2011-09-01T08:53:29+02:00da minobezzi1
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