Pisa: Maria Chiara Carrozza

Graziella Teta per Toscanaoggi

Scienziata, ricercatrice, docente, manager, mentore. Non basta una definizione sola per Maria Chiara Carrozza, già professore ordinario in Bioingegneria Industriale alla prestigiosa Scuola Sant’Anna di Pisa, di cui è diventata direttore nel 2007, riconfermata con successo tre anni dopo. Non basta una parola sola nemmeno per definire la sua attività scientifica, che spazia nei settori della biomeccatronica, bioingegneria, biorobotica e neuro-robotica, nei quali Maria Chiara Carrozza eccelle. Già direttore della Divisione Ricerche del Sant’Anna e coordinatore dell’ARTS Lab (Avanced Robotics Technology and Systems Laboratory), è stata chiamata a tenere seminari al MIT in Massachusetts, all’Ecole Normale Supérieure di Parigi, alle università di Tokyo, Philadelphia, Seul, solo per citarne alcune.

In vent’anni è riuscita a costruirsi una carriera straordinaria, testimoniata da un impressionante curriculum ricco di incarichi, ricerche internazionali, attività scientifiche e pubblicazioni di alto livello. Parlando di lei non si può non cedere all’iperbole. E poi, quello che è diventata in due decenni vissuti intensamente (durante i quali ha conquistato anche il privatissimo ruolo di madre di due figli), contrasta con un persistente luogo comune, pur basato su reali ragion d’essere ma che, in questo caso, è felicemente abbattuto. Ossia, Maria Chiara Carrozza non è il classico «cervello in fuga»: all’estero ha sì studiato e lavorato, ma è in Italia, a Pisa, e in particolare alla Scuola Superiore Sant’Anna di piazza Martiri della Libertà, la riconosciuta patria della sua affermazione. Ma come ha fatto? Potrebbero chiedersi tanti studenti universitari in affanno con gli esami e ricercatori vessati e mal pagati. Domanda legittima che giriamo al direttore Carrozza.

Lei risponde, quasi divertita, al cronista che tenta di farne un ritratto accessibile ai lettori non specialisti. E, volentieri, si racconta. Cominciando da Maria Chiara brillante studentessa, con la passione per le materie scientifiche. Domanda di rito: chi sognava di diventare da grande? «Una scienziata, e fare scoperte importanti», risponde sicura. Nel 1990, a 25 anni, si laurea in Fisica all’Università di Pisa con una tesi che indaga gli attributi fisici (come l’energia) delle particelle elementari. Nei due anni successivi è al CERN (importante istituto europeo di ricerca nucleare) di Ginevra, impegnata in uno stage: fa esperimenti e, intanto, accudisce i due figli piccoli. «Tornata in Italia – spiega – ho valutato varie opportunità, anche proposte dagli Stati Uniti. Poi, incontrando alcuni docenti del Sant’Anna si è prospettata la possibilità di partecipare a laboratori di ricerca avanzata, l’ambiente ideale per me, così ho deciso di rimanere ed ho fatto il concorso per il dottorato». Due anni dopo, nel ’94, alla Scuola Superiore Sant’Anna riceve il titolo di dottore di ricerca in ingegneria con una tesi di Microfluidica biomedica.

«Gli anni successivi – continua il direttore – sono segnati dai contratti da borsista, per esempio con l’Agenzia Spaziale Europea, che mi hanno portata in Giappone. Ricordo ancora quando, con il collega Cesare Stefanini, vincemmo una gara di micro-robot  a Nagoya. Era la prima volta che i giornali parlavano di me, è stata una bella soddisfazione, anche come italiana». Segue una borsa di studio, ancora al Sant’Anna, in Ingegneria biomedica, dove nel ’98, a soli 33 anni, diventa ricercatore in microrobotica. «Fondamentale, nel mio percorso professionale, è la collaborazione con il prof. Paolo Dario (direttore del Polo Sant’Anna Valdera di Pontedera e docente Bioingegneria Industriale alla Scuola Superiore Sant’Anna, ndr), che ha fruttato numerosi brevetti, per esempio nel settore dell’endoscopia robotica». I loro progetti di ricerca hanno impatti concreti, con applicazioni in ambito medico e, di conseguenza, in grado di migliorare la qualità della vita delle persone. «Infatti – conferma Maria Chiara Carrozza – le protesi di arto (la mano) da noi progettate e realizzate (con un finanziamento dell’Inail) sono destinate alla riabilitazione e all’assistenza dei disabili». Ed accenna alla «scienza del tatto», a sistemi per robotica umanoide, protesi cibernetiche e interfacce neurali per la connessione della mano artificiale al cervello, sistemi per la neuro-riabilitazione dell’arto superiore e ausili per il supporto funzionale… e via elencando le meravigliose possibilità offerte dall’incontro tra scienza e tecnologia.

Lei dichiara oggi di sentirsi più ingegnere che scienziata: «Il mio impegno è proseguito su due strade parallele: gli studi scientifici nelle discipline della nano-scienza e nano-robotica e la progettazione e realizzazione di ausili per i disabili». Aiutare gli altri fa parte della sua visione etica. Come la tensione continua verso il futuro; se le si chiede qual è l’obiettivo professionale ancora da raggiungere, non esita a rispondere: «Incidere realmente nelle cose». Intanto ha certamente inciso sulla sua vita, riuscendo in una professione difficile ed appassionante, che le ha chiesto molto: «Tanto studio e lavoro, pochissimo tempo per me. Sono esigente con me stessa e con gli altri, ma so anche essere comprensiva. E so come ritrovare la serenità per fronteggiare stress e superlavoro». Per esempio, cimentandosi con la cucina giapponese (con risultati alterni, confessa), oppure dedicandosi allo sci (in Alto Adige) o alle nuotate nel mare di Marina di Pietrasanta. Film preferito «La dolce vita» di Federico Fellini, libro sul comodino «Le confessioni di un italiano» di Ippolito Nievo.

I momenti difficili non sono mancati: «Il periodo da borsista è stato duro, anche economicamente, e quando finivano i soldi è capitato di dover chiedere aiuto ai genitori». Il momento più esaltante? «L’elezione a direttore della Scuola Sant’Anna, quasi non ci volevo credere, un ruolo che mi ha aperto una nuova strada a quarant’anni, cambiandomi la vita». Nel senso che si è ritrovata a svolgere un ruolo manageriale: «Cambiare talvolta è doloroso, ma è giusto affrontare nuove sfide e lasciare spazio agli altri. Stare al timone e governare si traduce soprattutto nel mettere d’accordo gli altri e trovare l’equilibrio tra le varie esigenze. Mi piace lavorare in squadra, in confronto costruttivo».

È occupata instancabilmente tra ricerca, insegnamento, direzione ed anche mentorship, occupandosi della supervisione di dottorandi e ricercatori post-dot. Le piace il ruolo di mentore? «Si, è stimolante guidare giovani bravi e ambizioni, scoprire e valorizzare le loro potenzialità». E come guida i suoi figli? «Come una madre affettuosa, ma preparandoli ad andare in giro per il mondo: il maggiore ha 21 anni e studia Giurisprudenza, la figlia di 19 Ingegneria; le esperienze di studio e di lavoro all’estero arricchiscono, aprono la mente e fanno maturare i giovani». Consiglio da seguire, insieme a quello di non sprecare il tempo. Lei certo non l’ha fatto in questi vent’anni. Chissà che cosa riuscirà a fare nei prossimi venti.

«Il futuro: energia, cibo e acqua per tutti»

Come immagina il futuro Maria Chiara Carrozza? «La sfida si gioca nel campo energetico e ambientale, puntando a far avere energia, cibo e acqua a tutti. Le multinazionali, di elettronica di consumo o del settore automotive per esempio, dovranno convertire la produzione quando i mercati mondiali saranno saturi. La nuova frontiera è rappresentata dall’alta tecnologia a basso costo, rendendola accessibile a tutti, per poter ridurre sprechi, consumi energetici e salvaguardare l’ambiente. Case più tecnologiche (domo-robotica), mobilità sostenibile, sviluppo delle biotecnologie per abbattere la fame nel mondo non sono chimere, ma realtà scientificamente già possibili oggi. E poi c’è il vasto settore dell’assistenza e cura della persona, basano sulle tecnologie avanzate per migliorare la qualità di vita di anziani e disabili. La mia generazione – sostiene – ha ereditato un modello di sviluppo che sta mostrando tutti i suoi limiti, e ci vuole tempo per costruire un paradigma nuovo. Ma le nuove generazioni possono, e devono, cominciare a farlo».

In Italia è possibile formare adeguatamente i giovani che affronteranno le sfide di domani? «Si, a dispetto di quanto generalmente si dice, abbiamo docenti e ricercatori seri e capaci, e tanti giovani di valore che vogliono impegnarsi per creare il nuovo, anche spinti da motivazioni sociali».

Lei, che tra l’altro fa parte dei più prestigiosi organismi internazionali di ingegneria applicata a medicina e biologia e di robotica e automazione, ha trovato nella Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa l’ambiente «giusto». «Al Sant’Anna devo tutto – dichiara – qui ho trovato un ambiente aperto e sfidante». E come direttore aggiunge: «L’obiettivo della Scuola è affermare un modello di formazione che punta sul binomio insegnamento e ricerca, capace di attrarre risorse e di ben impiegare i finanziamenti. Per questo è stata riorganizzata in Istituti di ricerca». D’eccellenza, com’è tradizione del Sant’Anna.

 

 
Pisa: Maria Chiara Carrozzaultima modifica: 2011-09-22T09:32:37+02:00da minobezzi1
Reposta per primo quest’articolo