Carrara: Da Michelangelo a Cattelan

 

LAURA MONTANARI
 
Una montagna affettata per duecento metri, venti piani di marmo, terrazze di muri alti come palazzi, un gigantesco anfiteatro nel mezzo delle Apuane. Cielo azzurro, anche la jeep arranca sulla salita. «Che spettacolo eh? Michelangelo veniva qui a scegliere i suoi marmi, nessuno ce li ha migliori di Carrara e io ne ho visti tanti in giro per il mondo…». A Franco Barattini, 70 anni, la passione è qualcosa che non passa: in cava quando gli operai cominciano a lavorare, spesso lo trovano già lì. «A volte arrivo che è buio e mi guardo l’alba da quassù. Che spettacolo eh?». 

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Più vicini al paradiso. Ottocentocinquanta metri sopra il mare, una specie di «magazzino» naturale dove i grandi artisti si riforniscono della materia prima, il marmo. E’ così da secoli. Michelangelo ha preso da qui, al Bacino del Polvaccio, il blocco per la Pietà. Questa cava era conosciuta già dai romani (ne parla Plinio) e il suo marmo è stato utilizzato per la Colonna Traiana e gli Archi di Trionfo di Tito e di Settimo Severo. «Ho cominciato facendo il “bagascio” che ero bambino, a 12 anni» racconta Barattini, nel suo slang carrarino. Portava l’acqua ai cavatori risalendo a piedi le montagne: «Due ore di cammino per andare, due per tornare, si lavorava da stella a stella (dall’alba alla notte ndr)». Il «bagascio» era un garzone, il gradino più basso. Lui comincia a salire da quel fondo:  «vede le mie mani come sono deformate dal marmo? Ho lavorato con la subbia, ho fatto il filista (cioè il tagliatore dei blocchi quando non c’erano ancora le macchine) e anche il tecchiaiolo, quello che stava 12 o 13 ore appeso alle corda per ripulire dal materiale pericolante il fronte della cava e liberare le pareti della montagna da pietre, schegge e frammenti che, subito dopo il taglio, rischiano di cadere» spiega con orgoglio il fondatore di un gruppo che oggi ha sette aziende, una cinquantina di dipendenti e fattura intorno ai 25 milioni di euro smerciando il marmo di Carrara in tutti i continenti.

 
Ora possiede tre cave, la prima quella Michelangelo, dagli Anni ’80: «Estraiamo fra le 50 e le 60mila tonnellate di marmo ogni anno». Ne prende una scheggia in mano, la osserva: «E’ una meraviglia, sembra parmigiano, ma ha la trasparenza di un velo…». 

 Imprenditore vecchio stampo, di quelli senza orologio, cresciuti sapendo cos’è la fame e la fatica, scuole fino alla quinta elementare, poi via, dentro la vita. Per anni ha commerciato il marmo, adesso ha completato la filiera, a monte le cave, a valle lo studiolaboratorio di scultura «Cave Michelangelo» a Carrara. Il capannone pieno di polvere bianca, è un crocevia per molti grandi nomi dell’arte contemporanea a cominciare da Jan Fabre, Maurizio Cattelan, Anna Chromy, Daniel Buren, Paul Nagel e tanti altri. In queste stesse stanze venivano da Floriano Bodini a Giò Pomodoro: «La cava è già arte» racconta Barattini camminando fra le sculture dentro il laboratorio. C’è il celebre dito medio di Cattelan di 2,20, una copia del David in vetroresina. Prove d’artista e altre concluse come la contorsionista di Corda o l’enorme sagoma velata e senza volto di Chromy. Qui sono state prodotte secondo le indicazioni degli artisti centinaia di sculture, alcune sono coperte dai teli: «Non vogliono che si veda l’opera se non è completa, uno scrittore farebbe mai leggere un racconto non finito?». 

Barattini, ma un giorno tutto questo marmo a furia di scavarlo dalla montagna, finirà… Reazione immediata: «Macché, ce n’è tantissimo, noi ne abbiamo tolto soltanto un velo, abbiamo come accarezzato la montagna. Il problema è un altro…qui non c’è ricambio, i giovani non voglio venire in cava pensano che sia un lavoro pericoloso e faticoso, invece non è più come una volta, oggi ci sono macchinari e leggi, ed è un mestiere bellissimo, stai sempre all’aria aperta, sulla montagna. Io non avrei mai potuto lavorare prigioniero in un ufficio».


Carrara: Da Michelangelo a Cattelanultima modifica: 2011-12-29T15:28:49+01:00da minobezzi1
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