………e ancora Pisa: Giuseppe Colicchia

La mia casa è la città”, questo il titolo dell’incontro che lo scrittore torinese Giuseppe Culicchia ha tenuto con il pubblico pisano nella giornata di venerdì 15 gennaio, presso la Biblioteca Comunale di Pisa, nell’ambito dl festival “Narrazioni in corso, raccontare la città”, ‘iniziativa realizzata e curata dalla Scuola Holden di Alessandro Baricco.

Un incontro quasi intimo, in un’atmosfera informale e distesa, con uno degli autori di punta di quella fioritura editoriale che ha interessato l’industria delle lettere nazionali verso la prima metà degli anni Novanta. Giuseppe Culicchia per molti anni, e anche adesso suo malgrado, ha visto legare il suo nome a “Tutti giù per terra”, romanzo-rivelazione che gli procurò una clamorosa vittoria come esordiente al blasonatissimo Grinzane Cavour e l’occasione di entrare a buon diritto nelle librerie di mezza europa quale enfant prodige della nostra letteratura.

Rimasto sempre in disparte rispetto alle “feroci” mode editoriali che caratterizzarono gli anni del suo esordio, Culicchia non è stato mai ammesso nel club dei “cannibali”, né mai questa esclusione li ha procurato alcuna sfortuna dal punto di vista di vendite e felice riscontro, caso raro nella paludosa Italia letteraria, di critica e di pubblico.

Troppo “tondelliano” per essere assimilato a un cannibale tout court, troppo colto e disincantato nel tono per poter essere paragonato anche solo per sbaglio alle efferatezze compiaciute del primo Ammaniti o al nichilismo merceologico di Aldo Nove, Giuseppe Culicchia è uno dei pochi della sua generazione a poter vantare il merito di aver condotto un percorso coerente e longevo. Scrittore onnivoro e prolifico, ha attraversato percorsi spesso divergenti, che solo in apparenza possono essere ridotti a quella che, con una malevole definizione, può dirsi una “facile” scrittura.

Europeo nella formazione, Culicchia ha assimilato con luminosa evidenza la lezione e le strategie del narrare, rinnovandole, di “Fiesta” di Hemingway, de “Il Grande Gatsby” di Fitzgerald, di “Estinzione” di Bernhard, di “Berlin Alexander Platz” di Doblin. Spesso vicino alle voci più problematiche della laetteratura mondiale, Culicchia si è affermato anche come traduttore. Sua è la traduzione del capolavoro di Bret Easton Ellis “American Psyco”, un manifesto dal quale Culicchia non ha mai fatto mistero di aver attinto con prodigiosa sensibilità.

Al pubblico pisano, minuto nei numeri ma non di certo nella generosa attenzione, Culicchia ha letto alcuni brani del suo celebre saggio-racconto “Torino è casa mia”, edito da Laterza nel 2005. Un esempio atipico di reportage, interamente rivolto al rapporto d’intimità intessuto dallo scrittore con la città nella quale è cresciuto e attualmente vive. Una continuità di amorosi sensi con i paesaggi, gli oggetti, i rituali che lo legano alla struttura latente di Torino, alla sua stessa “idea”. E così, tra una strampalata lezione di storia e una impeccabile lezione di antropologia culturale sulla etnia degli “zarri”, Culicchia ha cercato di dimostrare come il racconto di una città possa attraversare strade impensabili.

Il percorso del viaggiatore si fa percorso nella scrittura e, allo stesso modo, strada della memoria. Il rapporto con la città nella quale si è cresciuti e nella quale si è scelto di vivere, è caratterizztao da un’irrisolvibile oscillazione tra l’amore e l’odio, lo stesso rapporto che riguarda lo scrittore con la sua materia, con la sua opera.

Il racconto di una città può dunque diventare l’occasione per ridisegnarne il profilo, per ricostruirne il senso. La lezione di Culicchia, indisciplinato maestro del contemporaneo, è stata soprattutto l’occasione per riflettere su quali siano gli elementi che caratterizzano il rapporto che l’uomo intesse con lo spazio in cui vive, quali i rituali, i tic, le relazioni aberranti e le prospettive idilliche che riguardano da vicino la religione che ciascuno dedica al proprio spazio vitale.

Affermare “la mia casa è la città – ha raccontato Culicchia – significa averne una cognizione profondamente personale, tanto da saperne individuare le ‘stanze’ e l’arredo, saper cogliere i momenti di luce e quelli di buio profondo”. Un insegnamento valido, probabilmente, per tutte le città del mondo.

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………e ancora Pisa: Giuseppe Colicchiaultima modifica: 2010-01-18T11:15:53+01:00da minobezzi1
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