Gorgona (LI): Carcere sostenibile

Anna Benedetto per loschermo

L’isola carcere di Gorgona è un mondo “altro”. Altro perché una persona comune non se lo può immaginare. Altro perché è un carcere, e come tale ha regole rigide, ha sbarre e limitazioni: serve a contenere.
Però, aggirarsi per i sentieri, i boschi, i campi della Gorgona comunica tutt’altro. Comunica senso di appartenenza e non di segregazione, ed anche se il mare segna molto bene il confine tra il carcere ed il resto del mondo, l’aria che ciascuno può respirare è sufficiente. Ed è decisamente buona.

In più, ci sono gli anima-li. Ci sono queste anime che vivono a contatto con i detenuti, aiutandoli a dare un senso al passare dei giorni, riempiendoli con i ritmi della nascita, della crescita, della riproduzione, ed anche della morte. Anche se, purtroppo, dentro ad un macello.

Il viaggio per i sentieri di Gorgona, i corsisti del gruppo volontari del carcere lo hanno fatto con due guide d’eccezione: il veterinario Marco Verdone,consulente della Casa di Reclusione dell’Isola di Gorgona dal 1989, che nell’isola cura gli animali con l’omeopatia, e che promuove la conoscenza di Gorgona e le opportunità che nascono dalla relazione con la terra e con gli animali, ed autore del libro “Il respiro di Gorgona, Storie di uomini, animali e omeopatia nell’ultima isola-carcere italiana”, e la volontaria Simona Ghinassi, livornese, che ha scelto questo carcere per dare il suo contributo al mondo in cui viviamo.

“Gorgona è l’isola più piccola e settentrionale dell’Arcipelago Toscano – spiega Verdone – Realtà complessa, multifunzionale, ricca di storia e di esperienze da conoscere. È carcere, parco, fattoria, comunità di uomini e natura. È luogo di qualità e di sperimentazione. Il lavoro con la terra e gli animali è parte fondante del percorso di riabilitazione. Lavoro, formazione e dignità della carcerazione ne fanno un laboratorio a cielo aperto da preservare e replicare”.

Nella colonia agricola-carcere vivono attualmente 75 detenuti che hanno chiesto di terminare qui il loro percorso penale: di giorno lavorano nei campi e nelle strutture, dove si prendono cura degli animali e la sera fanno rientro nelle celle. Detenuti che per la loro opera sono remunerati 150 euro al giorno: un costo che certo altre carceri non hanno, ma che restituisce a queste persone una dignità ed offre loro un’opportunità occupazionale una volta usciti.

“Certo – spiega Verdone – lavorare nel mondo esterno non è come lavorare qui. Qui siamo in un ambiente protetto, dove anche il modo di gestire gli animali in allevamento è molto diverso dalle realtà produttive che rispondono alle esigenze del mercato. Ci sono detenuti che, una volta fuori, lamentano questa differenza… in peggio. Nel senso che a volte la qualità di vita che garantiamo agli animali allevati in Gorgona non si riscontra nel mondo esterno”.
L’idea della detenzione agricola discende da una concezione filosofica dell’epoca del Granducato di Toscana, in contrapposizione all’idea di reclusione forte. In Italia abbiamo avuto anche le esperienze di Pianosa e dell’Asinara, poi chiuse, anche inseguendo il miraggio del turismo. Un miraggio, appunto, dato che non c’è mai stato un vero decollo.

Gorgona è rimasta l’unica realtà penale insulare, che rimane aperta nonostante gli alti costi di gestione, con tre motovedette giornaliere (52 persone occupate), circa 70 agenti e una ventina di amministrativi e personale dell’indotto.

Gorgona resiste. Lo fa producendo ricchezza sottoforma di prodotti agricoli e caseari, e lo fa anche aprendosi a chi ne vuole conoscere il magico equilibrio tra uomo, disagio, natura ed animali, grazie alla volontà di un direttore, Carlo Mazzerbo (attualmente direttore a Porto Azzurro e sostituito da poche settimane da Paolo Basco) che si prende la responsabilità di far visitare il carcere a gruppi come questo, mantenendo aperto un contatto tra chi è fuori e chi è dentro, senza che vi sia obbligato da nessuna legge o regolamento. Un senso di responsabilità e un’apertura mentale preziosi per tutti: basti vedere come vanno le cose qui per capire che un’altra detenzione è possibile. Ed avrebbe ripercussioni positive su tutta la società.

Alla Gorgona c’è anche un paese: 30 case di proprietà di abitanti stagionali, estivi, tranne la signora Luisa, classe 1924, che vive qui tutto l’anno e si rifornisce al piccolo spaccio dove, con il favore del mare, arrivano approvvigionamenti da terra.

Alla Gorgona c’era anche un ufficio postale. Ma le leggi del mercato sono impietose, ed anche se questo era uno dei pochi modi con cui l’isola poteva mantenere un contatto con il resto del mondo, l’ufficio è stato chiuso. I detenuti hanno chiesto a gran voce la sua riapertura, ma dall’inizio dell’anno sembra che Poste Italiane abbia deciso di chiudere la succursale che operava sull’isola tre giorni alla settimana, dal martedì al venerdì. Lo ha fatto a causa dei costi del dipendente. La decisione ha inevitabilmente generato disagi per i detenuti e il personale di polizia penitenziaria, ma anche per i residenti e le persone che hanno a che fare con l’istituto (educatori, assistenti sociali e medici).

Non solo lettere: nella richiesta che i detenuti hanno inviato ad enti e media si spiega che “la chiusura dell’ufficio ha creato un enorme scompiglio per quanto riguarda l’invio e la ricezione della posta ordinaria, l’invio dei vaglia per inviare aiuti economici alle nostre famiglie, l’invio e la ricezione di pacchi postali contenenti vestiario e altri generi alimentari. Senza contare i correntisti che vorrebbero depositare i propri stipendi”. “Non abbiamo la certezza che tutte queste operazioni avvengano correttamente – scrivono i reclusi – anche perché dobbiamo considerare la variabile meteo, visto che alla Gorgona la nave non può entrare in porto ma bisogna fare lo sbarco in mare aperto”. “Chiediamo quindi che siano fatti valere i diritti sanciti dalla Costituzione”. Pare però che, proprio in questi giorni, sia stata ottenuta una piccola apertura settimanale.

Detenuti che vogliono rimanere uomini. E che anche per questo chiedono di essere trasferiti alla Gorgona. Dall’altra parte rispetto a loro si trovano gli agenti di polizia penitenziaria. Un altro lato solo immaginario, dato che condividono il piccolo spazio dell’isola per molte ore al giorno. Una realtà difficile per chi ha la famiglia lontano, confinato sull’isola per molti giorni di seguito senza poter tornare a casa. Ma anche una realtà serena, per quanto possa esserlo un istituto penitenziario. Uno degli agenti, Carmine, scambia qualche parola con il gruppo per spiegare il senso della sua permanenza alla Gorgona, della sua scelta di lavorare lì. Non sfuggono la passione e la dedizione con cui Carmine parla del suo lavoro, non facile né scontato, che tutti i giorni lo costringe sulla soglia di rapporti umani che devono essere di collaborazione ma mai sfociare in alleanza, che devono mantenere le distanze ma allo stesso tempo trovare un’intesa, una fiducia reciproca, dal momento che non ci sono muri o sbarre a frenare, limitare, rinchiudere, proteggere, né dall’una né dall’altra parte. Ci vogliono equilibrio e motivazione. Come in tutti gli uomini, per vivere. 

 

Un momento del percorso

Un momento della visita

Animali alla Gorgona

Vitellino

Vitellino

Viti

Gorgona (LI): Carcere sostenibileultima modifica: 2010-09-20T09:57:35+02:00da minobezzi1
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