Carrara: Giuliano Vangi

Giuliano Vangi è un maestro nell’uso del marmo. Per le sue sculture predilige quello di Carrara che sceglie di persona e con cui ha realizzato la scultura all’ingresso dei Musei Vaticani. Vangi collabora con gli architetti, in particolare con Mario Botta e con Renzo Piano, che l’ha chiamato per l’ambone del santuario di Padre Pio a San Giovanni Rotondo. Vangi nasce nel 1931, pochi mesi prima della morte di Aldolfo Wildt, ma conosce la sua tecnica e ne apprezza la poetica.

Come definisce la scultura di Adolfo Wildt?
«Spirituale, legata ai problemi dell’uomo, va oltre la rappresentazione e la contingenza quotidiana».

Wildt ha fatto un uso eccezionale del marmo: può spiegarci il segreto della sua abilità tecnica?
«Ha trattato il marmo in modo maniacale, raggiungendo la perfezione con forme allungate e levigate; con gli occhi “vuoti” che guardano dentro l’anima è riuscito a esprimere un sentimento che la maestria da sola non restituisce. I suoi volti sono sia ritratti che maschere. Il virtuosismo è una tecnica: Wildt, oltre a essere bravo, è un artista».

Lei lavora il marmo… 
«Proprio ieri ero nelle cave di Carrara per scegliere dei blocchi di marmo. Quello che preferisco è il tipo statuario, di pasta tenera, che si lavora bene con lo scalpello. Il marmo produce un suono. Se è un pezzo sano è squillante; se c’è un difetto dentro, che non si vede, il suono è sordo. Scegliere il marmo e scolpirlo è un mestiere difficile, bisogna essere esperti, volergli bene. Wildt usava il marmo di Candoglia, duro, difficile da lavorare, ma che dà risultati di grande bellezza».

La mostra di Forlì mette a confronto Wildt (e le sue fonti) con altri artisti, con Michelangelo per esempio. Due grandi scultori che dialogano a distanza? 
«Non trovo un parallelo tra Michelangelo e Wildt: l’uno scava per trovare la figura, l’altro è un esteta raffinato che giunge alla perfezione. Wildt guarda alla tradizione liberty e prima a quella francese di Maillol e Rodin che, pur essendo un grande scultore nel bronzo, non ha capito cos’è il marmo».

Wildt – L’anima e le forme tra Michelangelo e KlimtWildt - L'anima e le forme tra Michelangelo e Klimt    Wildt - L'anima e le forme tra Michelangelo e Klimt    Wildt - L'anima e le forme tra Michelangelo e Klimt    Wildt - L'anima e le forme tra Michelangelo e Klimt    Wildt - L'anima e le forme tra Michelangelo e Klimt    Wildt - L'anima e le forme tra Michelangelo e Klimt    Wildt - L'anima e le forme tra Michelangelo e Klimt

Cos’è il marmo?
«Materia viva che muta nel tempo. Se cerchi di opacizzarlo perché è troppo bianco, come faceva Canova, lentamente torna alla sua natura. È come con i tronchi di un albero: nel marmo puoi leggere il tempo».

Cosa pensa del ritratto di Mussolini, che non era piaciuto al regime perché del duce Wildt restituiva un carattere riflessivo e spirituale?
«Wildt ha fatto la sua scultura. L’arte è libera anche quando c’è una committenza. Il tema può condizionare, ma l’artista resta se stesso. Questo vale in particolare per la scultura che si presta a certi soggetti e ad altri meno».

 

Giuliano Vangi ritratto da Berengo Gardin

S’è ispirato a Wildt per qualcuna delle sue opere?
«Lo apprezzo ma non l’ho preso come esempio. M’interessa l’uomo, la sua fisicità, i muscoli, il cervello. Ho realizzato opere che mi avvicinano alla sua spiritualità, l’altare e l’ambone della cattedrale di Pisa, il nuovo Presbiterio per quella di Padova».

 

Qual è il tratto più tradizionale e quello più innovativo di Wildt? 
«Il più tradizionale è legato alla ricerca della perfezione; il più innovativo è aver trovato una chiave espressiva inconsueta. Wildt è morbido nelle linee, ma è duro nei tagli e nei volti. Il suo è un tratto che non è di nessun altro scultore italiano del periodo».

 

Bronzo «Puro folle» (1930) di Wildt

In che modo secondo lei ha influenzato gli artisti più giovani come Lucio Fontana, suo allievo all’Accademia di Brera?
«Wildt è stato un uomo coerente e questo per un giovane è un esempio. Forse Fontana negli anni della formazione ha imparato da lui, oltre a questo, l’amore per la materia, l’importanza di andare al di là della visione convenzionale».

 

Veniamo al suo intervento nel santuario di Padre Pio, realizzato da Renzo Piano: com’è nata la collaborazione?
«Renzo Piano mi ha telefonato e mi ha detto: “Ho bisogno di un altare e di un pulpito. Tutta la chiesa è fatta in pietra di Apricena” (le cave del Gargano). Poi mi ha indicato lo spazio e mi ha lasciato libero di lavorare. È nato così il “Noli me tangere”, in cui narro la storia di Maria di Magdala al Sepolcro: la disperazione, quando non trova il corpo di Gesù; e la felicità d’averlo ritrovato, che la rende persino bella in un vestito primaverile. Ho ambientato tutto in un giardino di pietra di dodici metri come se fosse un filmato».

Rachele Ferrario

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Carrara: Giuliano Vangiultima modifica: 2012-01-31T15:31:13+01:00da minobezzi1
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