Arezzo: L’irrisolto rapporto tra Ebrei e Polacchi


FABRIZIO FEDERICI per arezzoweb

Polonia-ebrei: da sempre un rapporto amore-odio, sfociato, in ultimo, nella tragedia della Shoah, con la maggior parte dei lager non a caso installati appunto in Polonia, dove uno storico humus antisemita permise, molto più che negli altri Paesi dell’Europa orientale in mano ai nazisti, il vero e proprio genocidio della comunità ebraica (tutta la popolazione polacca, peraltro, fu oggetto d’un vero e proprio piano “cambogiano” di sterminio). Ma quale era stato, esattamente, il rapporto tra la nazione polacca e la sua componente israelita nel cruciale periodo tra la fine del Settecento e la seconda metà dell’Ottocento? Un rapporto difficile, ambiguo, tormentato: in ogni caso molto diverso da quelli esistenti in altri Paesi. Un rapporto analizzato ultimamente nel libro a più mani “Un ebreo resta sempre un ebreo”: raccolta di saggi curata da Laura Quercioli Mincer, docente di Storia e cultura ebraica nei Paesi slavi alla “Sapienza” di Roma.

Sono specialmente le vicende del frankismo, il singolare movimento messianico e sincretistico creato da Jakub Frank (1726-1791: proprio nell’ambito d’una ricerca internazionale su Frank, partita dalla facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Siena-Arezzo, è nato questo volume), a rappresentare emblematicamente le difficoltà della dialettica fra ebraismo e “tipo umano polacco”. A lungo, infatti, i frankisti, entrati grazie al battesimo nella nobiltà polacca, pur combattendo nelle insurrezioni nazionali ottocentesche e figurando tra i protagonisti della cultura nazionale, sono guardati con un misto di diffidenza e odio dall’“establishment” cattolico, perché considerati un “cavallo di Troia” dell’ebraismo nel cattolicesimo (oltre ad attirarsi, chiaramente, con la loro apostasia – peraltro più formale e “nicodemica” che sostanziale – l’ostilità degli ex-confratelli ebrei).

Nei quarant’anni di regime comunista, poi, dal 1949 all’ “1989 e dintorni”, il silenzio sul frankismo (così come, del resto, per tutti i temi inerenti l’ebraismo: vedasi anche, in passato, gli studi di Gabriele Nissim sull’antisemitismo di Stato nei regimi dell’Est) è quasi totale. Proprio sulla “metabolizzazione” del frankismo, anzi, rileva la Quercioli Mincer nel suo saggio, si confrontano tuttora, a quasi vent’anni dalla fine del regime comunista, i fautori d’una Polonia multietnica e multireligiosa ovvero, al contrario, d’un Paese “etno-nazionalista, etnicamente e religiosamente uniforme, con unico modello, la figura del “polacco-cattolico”. Quanto poi, più in generale, il rapporto con l’ebraismo continui a risultare difficile per la società polacca, tralasciando fenomeni più eclatanti come le ricorrenti esternazioni antisemite dell’emittente cattolico-conservatrice “Radio Maria”, risulta evidente da episodi meno noti ma altrettanto inquietanti: come la richiesta del ministro della Cultura Roman Giertych, nel luglio 2007 (ancora in piena era dei gemelli Kaczynski), di cancellare dall’elenco delle letture scolastiche sei poeti e scrittori a causa della loro origine israelita, o del sostegno dato alla causa ebraica.

Polonia 2008: una scommessa decisiva, inedita (per la cultura occidentale, troppo spesso, su questi temi, superficiale, distratta o, all’opposto, apocalittica), sul piano della multiculturalità?

AA.VV., Un ebreo resta sempre un ebreo – Vicende dell’ebraismo e del messianesimo nella cultura polacca, a cura di L. Quercioli Mincer, Bibliotheca Aretina

 

Arezzo: L’irrisolto rapporto tra Ebrei e Polacchiultima modifica: 2010-03-04T09:35:00+01:00da minobezzi1
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