Radda in Chianti (SI): Il Rosso di Caparsa

 


Roberto Giuliani per LaVinium

Roma, 27/04/2010

Nella società odierna, indubbiamente sofferente per un pessimo e irrispettoso uso delle risorse naturali che ha a disposizione, veniamo frequentemente informati della scomparsa di specie viventi a causa dell’inquinamento ambientale prodotto dall’uomo nelle sue innumerevoli forme: deforestazione, abusi edilizi, sfruttamento sempre più esasperato delle risorse della terra con conseguente aumento della desertificazione, smog prodotto dall’uso massiccio di carburanti, acque inquinate da scarichi industriali, uso abbondante di chimica in agricoltura, scorie radioattive e rifiuti tossici nell’aria, nel terreno e nei mari, effetto serra e cambiamento climatico dell’intero pianeta e potrei andare avanti per molte pagine. Tutto questo in nome di un progresso che contraddice se stesso, rendendo la nostra vita circondata da cose spesso più dannose che utili e certamente meno sana. In questo contesto che vede sempre più necessaria una svolta radicale nel nostro modo di vivere, il ritorno ai vini cosiddetti naturali, appare una necessità e una speranza di riappropriarci di un’agricoltura più sana e consapevole.
L’uso della chimica in questo settore nasce dall’esigenza di non avere perdite nella produzione alimentare, non fa piacere a nessuno trovarsi un oliveto infestato dalla mosca bianca o un vigneto dalla peronospora. E’ altresì vero che c’è un difetto di fondo nella nostra mentalità attuale: la convinzione che un uso costante di certi prodotti non porti conseguenze più gravi delle possibili malattie che con essi si combattono. Come nell’uomo un’uso continuativo di antibiotici, cortisonici, vaccini e medicinali in genere finisce con l’indebolire irrimediabilmente il nostro fisico rendendolo più vulnerabile e, di conseguenza, più dipendente dalle medicine stesse, così avviene in un terreno dove sistematicamente si fa uso di pesticidi, diserbanti, fertilizzanti ecc.

Ci sono molti scettici, anche in viticoltura, gente che crede sia impossibile fare a meno della chimica, che queste domande non se le pone o lo fa in modo sbagliato. Metodi come quello biologico o biodinamico non si possono applicare dall’oggi al domani, soprattutto in terreni che sono stati già male utilizzati, ci vogliono anni, la natura deve risvegliarsi, riossigenarsi, rinforzarsi e solo allora può essere in grado di difendersi dalla maggior parte dei “nemici”, o essere aiutata in modi meno invasivi e violenti, tutt’al più mirati, occasionali. I microrganismi devono tornare a dare nutrimento al terreno e alle piante. Nel leggere “Vini naturali d’Italia” di Giovanni Bietti, mi ha colpito questo passaggio durante la visita a un produttore piemontese suo amico: “Il mio amico mi porta nella vigna e noto che le uve più mature sono piene di api, che le succhiano con evidente soddisfazione. “Guarda lì accanto”, mi dice. Ebbene, sul pezzo di terra adiacente, naturalmente anch’esso piantato a vigna e a prima vista identico, le uve non presentano traccia di api. Il terreno stesso è privo di erba, a differenza di quello del mio amico; scavando per cinque centimetri nel sottosuolo della vigna del mio amico esce fuori un bel lombrico, grasso, vivo e vegeto, mentre in quel pezzo di terra nulla”. E prosegue: “Oggi troviamo una grande quantità di prodotti alimentari di qualità trattati in modo tale che gli insetti preferiscono non attaccarli. Ciò, naturalmente, risolve un problema pratico che l’uomo si è posto per diversi millenni, quello di difendere il proprio cibo da parassiti e altri agenti deterioranti, ma allo stesso tempo fa nascere alcuni interrogativi singolari e inquietanti: gli insetti attaccavano il nostro cibo perché era buono e salutare anche per loro? Se sì, come sembra evidente, allora il fatto di non attaccarlo significa che per loro non è più buono e salutare? Siamo sicuri allora che questo cibo resti invece buono e salutare per noi?”. Ecco, forse sarebbe il caso di porsi queste domande, di rendersi conto che il vino è soprattutto alimento, e più viene manipolato e trattato più sarà dannoso e meno digeribile per il nostro organismo, come del resto qualsiasi altro alimento.

Paolo Cianferoni, vignaiolo chiantigiano classe 1958, con un solido passato famigliare di tradizione vitivinicola, dal 1982 conduttore dell’azienda Caparsa a Radda in Chianti insieme a Gianna Bastoncelli, sua compagna di vita e vegetariana convinta, su queste cose deve averci riflettuto molto, perché la strada per un’agricoltura orientata al rispetto dell’ambiente e dell’uomo l’ha intrapresa da molti anni ed era nella sua mente già quand’era quattordicenne. Come lui stesso ci spiega, la scelta di produrre prodotti biologici non deve essere legata al desiderio di penetrare in un mercato di “nicchia”, ma deve diventare un modo di essere, di pensare, di agire. Interagire con l’ambiente in un modo ecologicamente corretto e divenire parte della cultura d’impresa, punto di partenza e obiettivo di tutta l’attività. Non posso che essere d’accordo. E il fatto che ci sia gente che si accosta a questa filosofia per motivi opportunistici, solo perché in questo momento sta riscuotendo sempre maggiore interesse, non deve essere una scusante per sminuirne la profonda verità. Come ho già più volte scritto, in ogni contesto ci può essere chi, privo di scrupoli, sfrutta l’occasione per puro vantaggio economico, ma questo non deve indurci a generalizzare o mal giudicare scelte che per altri sono invece frutto di una profonda convinzione.
Oggi l’azienda Caparsa è arrivata a ridurre del 70% l’uso di pesticidi contro le malattie della vite, grazie a un sistema di monitoraggio computerizzato dei dati ambientali che consente di fare pochi e mirati trattamenti a base di rame e zolfo senza molecole di sintesi, solo quando strettamente necessari. Viene praticato l’inerbimento su tutta la superficie aziendale, fondamentale per diminuire l’erosione del suolo e prevenire frane e alluvioni, mentre in vigna si applica il sovescio, ovvero un metodo di concimazione naturale effettuato ad anni alterni, che prevede la lavorazione del terreno negli interfilari per poter seminare il favino, una leguminosa in grado di arricchire il suolo di azoto, componente indispensabile per dare nutrimento alle viti. Al favino viene alternato il letame e altri prodotti organici. Le vigne sono situate su terreni collinari composti da galestro, alberese, argilla e sabbia, ben esposti e situati a un’altitudine media di 450 metri s.l.m., la maggior parte delle viti risalgono agli anni ’60 e ’70, età che permette una naturale riduzione della produzione d’uva per pianta, ma in azienda si sta operando anche per la realizzazione di nuovi impianti. La raccolta delle uve viene effettuata interamente a mano, in cantina si utilizzano i lieviti indigeni per la fermentazione dei vini, che non vengono filtrati per mantenere il più pssibile integre le loro proprietà.
La produzione prevede due tipologie di Chianti Classico, il Caparsino e il Doccio a Matteo, il Rosso di Caparsa e il Bianco di Caparsino, oltre al Vin Santo e all’Olio extravergine di oliva. E’ stato utilissimo, e di questo devo ringraziare Paolo che mi ha dato quest’opportunità, poter degustare un ampio numero di annate del Caparsino e soprattutto del Doccio a Matteo, ambedue provenienti da due singole vigne; l’esperienza mi ha permesso di comprendere meglio le potenzialità di questi due vini davvero ottimi, ma non posso fare a meno di citare il piacevolissimo Rosso di Caparsa, un sangiovese 50%, malvasia e trebbiano per la restante parte, semplicemente delizioso e dalla beva irresistibile, che ha il gusto e i profumi del Chianti di un tempo.

Radda in Chianti (SI): Il Rosso di Caparsaultima modifica: 2010-04-27T09:25:00+02:00da minobezzi1
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