Irene Arquint per l’acquabuona
Lupus in fabula, recentemente ci siamo arrampicati fino a “Ca’ del Lupo”(Case Sparse 11, Traverde, Pontremoli, 0187.830214), agriturismo sperso alle pendici dei monti Guinadi, con una doppia anima che si chiama Alessio (Lombardi, 31 anni) e Sabrina (Laurora, 29enne). Nove anni fa lui si è rimboccato le maniche. Oggi hanno maiali, mucche, pecore, cavalli, un asino, producono salumi. In più: vantano una scuola legata a Slow Food dove insegnano l’antica ritualità del testarolo, grosso disco ottenuto impastando acqua e farina di grano tenero, cotto sulla brace in forni da transumanza (i testi, appunto, da cui il nome), quindi tagliato a rombi, sbollentato velocemente in acqua, condito di abbondante formaggio e olio extravergine. Questa è la versione dei puristi, che lasciano uno spiraglio aperto solo alla variante con pesto di basilico e pecorino.
Pochi giorni fa a “Cà del Lupo” produttori, studiosi e artigiani si sono riuniti per assaggiare le farine uscite dal magico cappello di un mago. Beh, che volete farci: ogni favola che si rispetti ha un lupo oppure un mago. La nostra li ha entrambi. Il mago ha il volto di un gruppo di ricercatori della Scuola Superiore di Sant’Anna, sorella diligente e volenterosa dell’Università di Pisa, che in quasi tre anni di studi (di biblioteca e nel campo) ha messo a punto sei tipologie di farine adatte a crescere in Lunigiana, ma anche a chiudere la filiera attorno ai principali prodotti della tradizione gastronomica locale. Testarolo, pani (tanti: dalla Marocca di Casola fatta di farina di castagne, al pane di Regnano con le patate), panigacci (focaccette servite in compagnia di salumi, salsicce, formaggio più o meno morbido), torte d’erbi. Delle antiche farine ormai non vi è più traccia, salvo il “Ventitré”, da una cinquantina di stagioni messo a dimora nei campi da un piccolo agricoltore di Zeri, ad uso personale. La sua farina serve anche a rimpolpare il Presidio (piccole roccaforti volute dal movimento che fa capo a Carlo Petrini, a tutela di agricoltori, pescatori, pastori, casari… custodi di tecniche e prodotti autoctoni rispettosi del territorio). Grazie a Giuseppe Tognarelli il Ventitré (nome forse derivato da una trascrizione sbagliata dell’Avanzi Tre) è sopravvissuto alla sbornia da grani facili acquistati altrove.
“Il nostro problema è quello di arginare l’abbandono della campagna e il degrado di un territorio che rappresenta insieme un patrimonio e una delle attrattive turistiche della Lunigiana – spiegano dalla Comunità Montana, motore del progetto denominato “Frulun”, volto a verificare la fattibilità tecnica ed economica della reintroduzione del frumento tenero in zona – Purtroppo oggi solo una piccola parte dei grani è coltivata in loco, tutto il resto arriva da fuori. Da qui l’idea di dare nuova energia alla campagna, passando per i prodotti che ci rappresentano, tutti a base di grano”.
Il resto ce lo hanno messo i libri e le prove in campo fatte nel Centro universitario di ricerca interdipartimentale di San Piero a Grado (PI) e in qualche appezzamento locale. “Quest’anno mieteremo il secondo raccolto e saremo finalmente in grado di rendere cortissima la filiera dei primi tre: testarolo, panigaccio e pane”. La scelta delle miscele è in corso d’opera, dopo che tre diversi gruppi di assaggio si sono dati appuntamento per sondare i risultati. A breve dunque avremo i primi testaroli (ma anche panigacci e pani) a chilometro zero, che chiudono in sé la storia e l’abilità di questo ramo di terra che dalla foce del fiume Magra si insinua tra Toscana, Liguria ed Emilia. E che forse, si spera, daranno nuova linfa all’economia locale. Raccontando di quel forno in ghisa (prima ancora in terra cotta) che veniva facilmente trasportato dietro le greggi, dove un tempo si preparava ogni sorta di alimento.
Galleria fotografica